«Quando gli standard minimi non possono essere garantiti in altro modo il rimedio è la scarcerazione». La frase, inequivocabile, compare alla quarta riga del comunicato emesso dal «Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria» dopo una visita in Italia effettuata dal 7 al 9 luglio per verificare lo stato delle carceri e dei Cie rispetto all’ultima loro ispezione, nel 2008. Anche questa volta, come allora, gli inviati dell’Onu – che durante il loro viaggio hanno ascoltato oltre alle istituzioni anche l’associazione Antigone e Save the Children – al termine della visita hanno rivolto al governo italiano alcune richieste. In particolare ora si sono soffermati sulle «misure straordinarie» ancora da adottare, «come le misure alternative alla detenzione», per «porre fine al sovraffollamento delle carceri e per proteggere i diritti dei migranti».
Un giudizio, questo dell’Onu, evidentemente troppo severo per il Guardasigilli Andrea Orlando che ieri da Agrigento, dove ha fatto tappa per un convegno durante il suo tour siciliano, ha voluto smentire, seppur indirettamente, i delegati: «Senza troppo clamore siamo progressivamente usciti dalla situazione di sovraffollamento nelle carceri – ha detto il ministro – I dati di questi giorni ci dicono che il gap tra posti disponibili e detenuti attualmente è intorno ai sette-ottomila posti. Vuol dire che non c’è più un detenuto al di sotto dei tre metri quadri».

Cosa di per sé vera, come ha riconosciuto la Corte di Strasburgo concedendo all’Italia un altro anno per risolvere i problemi strutturali della nostra Giustizia. Secondo Orlando, «questo è avvenuto anche grazie a un’azione del Parlamento molto importante e al fatto che abbiamo iniziato a fare in modo più sistematico i rimpatri dei detenuti stranieri e al fatto che abbiamo ormai firmato 13-14 convenzioni con tutte le regioni per fare in modo che i detenuti tossicodipendenti possono scontare una parte della pena in comunità».

Ma il risultato è stato ottenuto anche con il trasferimento in massa di detenuti in istituti (come quelli in Sardegna che avevano molti posti disponibili) distanti dalla residenza, come da tempo denuncia la segretaria di Radicali italiani, Rita Bernardini, in sciopero della fame dal primo luglio anche per difendere i diritti di Bernardo Provenzano, il boss mafioso che versa in gravissime condizioni di salute, incompatibili col regime di 41 bis a cui è sottoposto. Regime che secondo gli osservatori Onu «non è stato ancora reso conforme agli standard internazionali in materia di diritti umani».
Il Gruppo di lavoro diretto dall’esperto di diritti umani Mads Andenas ha «accolto con favore le recenti riforme per ridurre la durata delle pene, il sovraffollamento nelle carceri e il ricorso alla custodia cautelare». Giudicata positiva anche «la sentenza della Corte Costituzionale che ha abrogato le sanzioni indiscriminatamente elevate per i reati minori connessi alla droga, ristabilendo quella proporzionalità tra reato e pena prevista dal diritto internazionale. Lo stesso vale per le pene oggi meno sproporzionate per i recidivi». E apprezzamenti pure per l’«abolizione della circostanza aggravante della immigrazione irregolare».

«Tuttavia – si legge nel comunicato – c’è ancora preoccupazione per l’elevato numero di detenuti in attesa di giudizio, e resta la necessità di monitorare e contenere il ricorso sproporzionato alla custodia cautelare nel caso di cittadini stranieri e rom, anche minorenni». Ma, come sottolinea lo stesso Gruppo dell’Onu, il Decreto legge 92 del 2014 voluto dal ministro Orlando stabilisce che la custodia cautelare non può essere più applicata nei casi in cui l’imputato rischia meno di tre anni di carcere. «Questo – ha commentato Andenas – limiterà il ricorso improprio alla custodia cautelare, usata come pena». Secondo Orlando al testo di conversione in legge del decreto il Parlamento potrà arrivare «entro la pausa estiva».
Andenas e i suoi colleghi, però, restano «seriamente preoccupati per la durata della detenzione amministrativa» degli immigrati, «per le condizioni di detenzione nei Cie» e per i «rimpatri sommari di individui, compresi in alcuni casi minori non accompagnati e adulti richiedenti asilo». Prassi, queste, avvisa l’Onu, che «violano gli obblighi dell’Italia, derivanti dal diritto nazionale, europeo ed internazionale».