Per la sesta notte di fila dopo il fallito golpe del 15 luglio, nelle strade e nelle piazze delle città turche i manifestanti filogovernativi si ritrovano richiamati dagli appelli del presidente Erdogan e dai müezzin delle moschee. Ci appare davvero inspiegabile questo richiamo alla mobilitazione popolare in luogo del ritorno alla normalità e legalità democratica, come invocano le opposizioni laiche del paese. Ma non si vuole tornare alla normalità: lo dimostra chiaramente la decisione del presidente di indire tre mesi di stato di emergenza.

L’annuncio era stato dato dallo stesso Erdogan mercoledì sera. Dopo cinque ore di Consiglio di Sicurezza, i vertici turchi sono usciti fuori con la perfetta ricetta alla crisi: concentrare nelle mani del presidente ancora più poteri. Nei fatti il presidente si arroga l’autorità che in una democrazia spettano al primo ministro. Nei tre mesi che seguiranno (sempre che la misura non sia successivamente rinnovata) nuovi poteri finiranno nelle mani del Ministero degli Interni, ergo della polizia: sarà molto più rapido e semplice emettere mandati di arresto e i tempi di detenzione potranno essere allungati.

Allo stesso tempo il governo potrà indire coprifuoco nel paese (una realtà concreta ormai da tempo per il sud est kurdo, che ne subisce da un anno), potrà bandire manifestazioni e assemblee con più facilità e soprattutto potrà passare leggi su decreto.

Ovvia la reazione delle opposizioni. Non è un caso che il leader del Partito repubblicano del popolo, maggior partito di opposizione, Kemal Kiliçdaroglu, e quello del Partito filocurdo democratico dei popoli, Selahattin Demirtas, abbiano fatto appelli per la riaffermazione dello Stato di diritto e per il rispetto delle istituzioni, come quella parlamentare che tutti insieme hanno difeso nella terribile notte del 15 luglio.
Erdogan si sente ancora insicuro. E teme che un ritorno veloce alla normalità possa vanificare il vantaggio politico conseguito nei confronti delle opposizioni. E gioca quindi la carta della sicurezza generale per consolidare il proprio potere. Ma questa è una rischiosissima partita che potrebbe rivolgersi contro di lui.

Le opposizioni stanno dimostrando una grande maturità democratica: quella che hanno avuto nei riguardi del tentativo di golpe e quella che ora stanno mostrando dinanzi alla violenza degli ultranazionalisti e degli islamsti nelle piazze. Il Partito repubblicano del popolo ha convocato per sabato 24 luglio a Istanbul, in piazza Taksim, una manifestazione per lo Stato di diritto, per il ritorno alla normalità costituzionale e contro ogni colpo di stato.

Ma intanto la paura tra i cittadini turchi si è diffusa. Lo stato di emergenza proclamato ieri è visto come una grave minaccia alla libertà di ogni individuo. Il governo turco ha deciso di sospendere temporaneamente la Convenzione europea dei diritti dell’uomo dopo aver proclamato lo stato di emergenza. A renderlo noto è stato il vice primo ministro Numan Kurtulmus, dichiarando che la mossa è indispensabile per consentire alle autorità di agire rapidamente e in modo più efficace nei confronti di quanti hanno complottato contro lo stato turco.

L’emittente televisiva Ntv ha riferito che secondo Kurtulmus lo stato di emergenza potrebbe essere revocato entro un mese o un mese e mezzo. Il vice primo ministro ha inoltre identificato in errori individuali e strutturali in seno all’intelligence le difficoltà nel prevenire e reagire al tentativo di golpe, aggiungendo che è in corso una ristrutturazione delle forze armate. Il ministro della Giustizia Bekir Bozdag ha dichiarato in parlamento che lo stato di emergenza è stato proclamato specificatamente per prevenire un secondo colpo di stato.

Bozdag ha anche rassicurato l’opinione pubblica che la Turchia non invocherà la legge marziale, come accadde dopo il colpo di stato militare del 1980 o nei giorni caldi dell’insurrezione kurda degli anni Novanta, che i cittadini comuni potranno proseguire con le loro vite ordinarie, e che le misure adottate non avranno un impatto negativo sull’economia.

Ma cos’è la Convenzione europea dei diritti dell’uomo? La Turchia ha firmato la Cedu nel 1950 in quanto uno dei 12 paesi allora membri del Consiglio d’Europa, e l’ha ratificata nel 1954. La Cedu prevede che ciascun cittadino dei paesi aderenti possa rivolgersi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo per denunciare le violazioni commesse dai singoli stati. Tuttavia, la Convenzione può essere soggetta a due tipi di limitazioni: le restrizioni e le deroghe.

Le restrizioni sono connesse a specifiche fattispecie di reato e hanno carattere continuativo. Per esempio, in Italia l’articolo sul regime di carcere duro per i reati di mafia, il 41 bis, che limita alcune garanzie procedurali e i diritti dei detenuti. Le deroghe hanno invece carattere temporaneo e ricalibrano il delicato equilibrio tra i diritti del singolo e le esigenze della collettività. La Cedu prevede che si possa rinunciare temporaneamente alle sue norme solo in due casi: durante un conflitto o durante un’emergenza pubblica che metta in pericolo l’esistenza stessa della nazione.

Ma la Turchia non è l’unica ad aver scelto di agire in deroga alla Cedu. Anche la Francia ha deciso di sospendere la Convenzione dopo gli attentati del 13 novembre 2015. La deroga temporanea alla Cedu implica la sospensione di diritti quali quello a un’equo processo, il diritto alla libertà di associazione e quello alla libertà di espressione.

Il presidente Recep Tayyip Erdogan tornerà presto a spingere verso una riforma costituzionale con lo scopo di concentrare il potere nelle sue mani. Di certo Erdogan non ha prodotto la lista di quasi tremila giudici poi arrestati durante una sola notte. È probabile che questa epurazione fosse il progetto che stava preparando da tempo e il golpe è stato l’occasione che ha scatenato gli arresti di massa già in programma.