Con la pubblicazione del Gatto Murr (traduzione e cura di Matteo Galli, 28 euro), la collana Hoffmanniana della casa editrice romana L’orma aggiunge una preziosissima tessera al progetto coraggioso e ambizioso di riedizione dell’intera opera dello scrittore visionario E.T. A. Hoffmann.
Il titolo completo del romanzo è piuttosto articolato e, pur piccandosi di essere esplicativo, di fatto determina un primo, momentaneo arresto della comprensione: Opinioni e vita del gatto Murr comprensive della biografia frammentaria del maestro di cappella Johannes Kreisler in forma di casuali scartafacci.

In realtà la complessità del titolo è importantissima perché, sin da subito, ci mette sul giusto avviso: l’opera Il gatto Murr, redatta da Hoffmann tra il 1820 e il 1822, è un romanzo doppio. Non è un caso se Hoffmann fa precedere la seconda parte del titolo da un «ovvero», quasi a bilanciare la prima parte. E già nel secondo titolo c’è tutto e il contrario di tutto: se i protagonisti dichiarati sono un gatto, che racconta le sue opinioni e la sua vita, e un Kapellmeister dal nome parlante di Kreisler (che nella radice ha Kreis, cerchio), i concetti chiave sono: il frammento, il caso, la forma e il rapporto tra arte e vita.

Come Matteo Galli mette bene in luce nella sua fondamentale introduzione, sin dall’inizio del romanzo il tema della frattura si erge a protagonista. Viene infatti denunciata già nell’incipit l’impossibilità di una visione conciliatrice, di una lettura univoca dello «stato di cose». Hoffmann affida alla voce di un improbabile curatore il compito di confessare ai lettori il pasticcio che per sbadataggine avrebbe combinato, ovvero quello di non aver controllato il testo prima di darlo alle stampe. Il risultato di questa incuria è tanto comico quanto sbalorditivo, perché il contenuto del manoscritto fittizio, ovvero il flusso narrativo di Kreisler, viene distorto – come in una sorta di procedimento di frottage surrealista – dall’intermezzo casuale del racconto autobiografico del dispettoso gatto Murr (quasi un antenato del protagonista felino di Simon’s cat, per chi conosce la serie).

Ben lungi dal seguire due binari paralleli i due percorsi (quello umano e quello bestiale, quello realistico e quello fantastico-onirico) s’incontrano e si scontrano in diversi nodi del romanzo, e anzi si potrebbe dire che il testo si scandisce e cresce proprio sulla scorta di questi continui corto-circuiti. Certo il risultato è frammentario, incompleto, a tratti dissonante, ma proprio in questo sta tutta la sua originalità e innovatività. Quasi in una visione strabica l’opera presenta le due diverse voci, talvolta agli antipodi: quella di Kreisler, il protagonista umano (a sua volta un doppio di Hoffmann), e quella fantasmagorica del gatto Murr (anch’esso doppio del gatto Murr che viveva con Hoffmann). Da queste due diverse prospettive emerge una continua contorsione del plot narrativo, che in una sorta di passo incrociato unisce kafkianamente formazione e distruzione.

La continua sovrapposizione di piani non genera tuttavia caos e anzi fornisce la chiave per le diverse soglie del romanzo. A ben vedere infatti la composizione del testo non è data solo dalle due voci discordanti di Kreisler e di Murr, ma da una serie di continui rimandi celati alla propria autobiografia, così come da una serie di riferimenti eruditi alla cultura filosofica (Fichte, Platone, Rousseau, Kant) e letteraria (Calderón, Shakespeare, Schiller, anche se sullo sfondo è presente come modello insuperabile/da superare Goethe), spesso intervallati (fino a confondersi) con la vox populi o con richiami alla tradizione popolare. Ma c’è un’altra, non secondaria, entrata al romanzo, ed è quella che segna il confine tra l’umano e il non-umano, un tema già frequentato nel romanticismo (basti pensare al Gatto con gli stivali del citato Tieck, ma che verrà poi ripreso e frequentato magistralmente e in modo ineguagliabile dai racconti di Franz Kafka).

Nel Gatto Murr sono proprio le interferenze a ricordarci l’apertura del romanzo, il suo movimento circolare (e non lineare), il multiprospettivismo che lo anima. Hoffmann cerca i contrasti, li esalta, come si evince sin dall’inizio, dalla polarità delle due prefazioni: se Kreisler presenta una posizione mite e timorosa, il piglio della prefazione di Murr è spocchioso e tracotante; il linguaggio del primo è semplice e anticonvenzionale, mentre quello del secondo è aulico e formale. In questa fantasmagorica sinergia dei contrari viene meno anche la distinzione tra comico e tragico.

Matteo Galli, il traduttore e curatore del volume, spiega (in una delle tante efficaci note che arricchiscono il volume) come Hoffmann impieghi qui un procedimento che quasi anticipa gli espedienti filmici di Quentin Tarantino: sottopone cioè un medesimo tema a due diversi trattamenti, a seconda della sua dislocazione in una sezione o nell’altra del romanzo, e lo osserva sotto la lente del comico o del tragico. In questo continuo pendolarismo si misura l’effetto spaesante del romanzo hoffmanniano. Con lo zampino del gatto Murr, ma forse con tutta la sua produzione, Hoffmann mette in opera, esemplarmente e con sorprendente anticipo rispetto ai tempi, quella scissione dell’Io che sarà poi la sigla del Novecento.