L’Uganda non smentisce la sua fama di paese tra i meno gay-friendly al mondo. L’omosessualità è di fatto illegale, non tollerata. E malgrado la Corte costituzionale abbia messo nel 2014 in stand by il tentativo di inasprire ulteriormente una legge già particolarmente omofoba e liberticida, il governo e le autorità non perdono occasione di reprimere le iniziative del movimento Lgbti locale o per minacciare – come ha fatto ieri il ministro per l’Etica e Integrità – di organizzare le masse e marciare sui raduni gay.

Ieri la polizia ha impedito a cento, massimo duecento coraggiosissimi attivisti di riunirsi e di sfilare non nel centro della capitale, ma all’interno di due resort di Entebbe, sul Lago Vittoria. Volevano dar vita a una parata, un gay pride in miniatura dopo quello molto più partecipato che sempre sulle rive del lago Vittoria era sfilato lo scorso agosto, ma sono stati caricati a forza su dei minibus e rispediti a Kampala, . Negli ultimi quattro anni la comunità Lgbti ha organizzato manifestazioni autorizzate dalle autorità, ma solo in un paio di casi tutto è filato liscio. Nel 2014 la polizia ha bloccato il corteo arrestando alcuni dei partecipanti.

La legge che il presidente Museveni e il suo governo volevano promulgare nel 2014 prevedeva persino l’ergastolo per casi di “sodomia” e carcere anche per omessa denuncia di omosessuali. Il governo ha manifestato l’intenzione di ripresentarla in parlamento quanto prima.