I miracoli a Milano non si ripetono. La politica esce sconfitta e la sinistra resta ai margini. Sono queste le tre conseguenze principali che l’esito del voto per le primarie milanesi ci consegna. E non ci voleva un premio nobel per prevederlo.

Il candidato sindaco di Milano è Giuseppe Sala. Francesca Balzani, pur sponsorizzata dall’attuale sindaco, ha perso e con lei dalla sfida dei seggi esce perdente anche l’altro nome della sinistra milanese, Pierfrancesco Majorino.

Volevano battere Sala, è successo esattamente il contrario.

Si tratta di un esito abbastanza scontato, assistiamo a una scena purtroppo già vista mille volte: la sinistra si divide e deve accontentarsi di giocare un ruolo secondario, di portabandiera ai margini del campo. Se ci fosse stata una candidatura unitaria, con l’ambizione di fare del modello-Pisapia uno spartiacque anche per la politica nazionale, un’alternativa al partito pigliatutto di Renzi, probabilmente avrebbe persino rischiato di vincere. Perché i voti di Balzani e Majorino arrivano al 57% e quelli per Sala si fermano al 42%. E se è pur vero che è sempre difficile sommare le preferenze, è altrettanto evidente che partire divisi è già abbonarsi alla sconfitta.

Alla condizione di debolezza della sinistra ha in parte contribuito proprio lo stesso Pisapia.

Dopo aver lanciato il fulmine annunciando la sua indisponibilità a rinnovare l’incarico, per lunghi mesi non ha incentivato la costruzione di una candidatura unitaria della sinistra, e solo all’ultimo ha designato l’erede mentre il presidente del consiglio bruciava i tempi puntando dritto sull’uomo di Expo.

Oltretutto, Sala ha mancato quello sfondamento oltre il perimetro del centrosinistra, come l’affluenza degli elettori, inferiore a quella del 2010, conferma. Un nome che non piace a più della metà degli elettori del centrosinistra sarà difficile che venga votato con entusiasmo da quest’area politica. Specialmente se, a sinistra, si dovesse configurare una nuova coalizione, tra quelli che non hanno condiviso la scelta delle primarie e che ora pensano a una lista elettorale con il nome di Civati.

Certo è complicato, per esempio per una forza come Sel, che si è molto divisa sulla partecipazione a uno schieramento guidato dall’uomo di Expo, ora rinnegare il patto di fedeltà siglato dalle primarie.

Il secondo messaggio che arriva dall’ex capitale morale d’Italia è che alle elezioni vere e proprie se la vedranno tre figure analoghe: oltre a Sala si scaldano ai blocchi di partenza Corrado Passera e l’ex direttore generale di Confindustria, Stefano Parisi.

Così quella che dovrebbe essere una sfida politica diventa una competizione tra uomini d’affari, tra manager di riferimento per il mondo della finanza.

Più che i competitori per l’elezione di un sindaco sembrano capicordata impegnati in una battaglia su chi dovrà essere nominato come amministratore delegato. Difficile vederci una continuità con il modello Pisapia, difficile considerare il manager Sala erede di quella coalizione arancione che, dopo vent’anni, riuscì a sconfiggere il centrodestra nel bastione del leghismo e del berlusconismo.

E allora dove vivrà la spinta che fece il miracolo arancione, chi esprimerà l’anima della città che scelse il cambiamento? E’ Sala l’erede di Pisapia?