Il movimento studentesco e le forme organizzate cresciute assieme ad esso rappresentano un’esperienza da cui si possono raccogliere indicazioni importanti per chi ambisce a raggiungere l’obiettivo della ricostruzione di rapporti di forza favorevoli per cambiare la nostra comune condizione di subalternità.

Nel corso degli anni, le studentesse e gli studenti hanno sempre accompagnato alle rivendicazioni legate al contesto della scuola e dell’università, una continua tensione verso una prospettiva generale, connettendosi con altri mondi in mobilitazione, ma soprattutto indicando i processi che investivano – e investono tuttora – tutta la società.

Un esempio emblematico è stato l’Onda, quando la prospettiva più tradizionalmente studentesca si è contaminata in maniera profonda con la prospettiva di una generazione che per la prima volta dal Dopoguerra stava vivendo condizioni peggiori di quelle dei propri genitori. La lotta alla precarietà e quella per la formazione pubblica, di qualità, accessibile a tutti – nella prospettiva della liberazione dei saperi da mercificazione e privatizzazione – si sono così sviluppate sincronicamente, costituendo un ponte possibile verso altre parti della società colpite dal governo della crisi economico-finanziaria a livello europeo.

Purtroppo, il movimento studentesco di quegli anni aveva lanciato un altro segnale oggi effettivamente avveratosi: dentro la crisi si è definitivamente rotto il meccanismo di consenso, fiducia e di (mutuo) riconoscimento tra le forme tradizionali della rappresentanza politica e la cittadinanza. La nostra era forse una denuncia rabbiosa e poco propositiva; quella distanza tra rappresentanti e rappresentati è stata tuttavia nel frattempo colmata da diversi soggetti politici, più o meno marcatamente reazionari e xenofobi, ma in ogni caso assai poco somiglianti a ciò che servirebbe per costruire e praticare l’alternativa all’esistente.

Anche nel corso dell’ultimo anno la mobilitazione studentesca – e del mondo della scuola in generale – ha maturato l’opposizione alla Buona Scuola non esclusivamente su basi sindacali, ma su una visione della formazione e della società radicalmente diversa da quella del Governo, gettando luce sulla relazione tra scuola e democrazia e, dunque, su come l’attacco alla scuola pubblica sia oggi, in un Paese con un altissimo tasso di analfabetismo funzionale, un attacco diretto alla capacità della popolazione di partecipare attivamente alla vita pubblica. Nella lotta tra la scuola della cittadinanza e la scuola di precarietà, Renzi ha vinto il primo round, ma scontando un calo notevole di consensi.

Quali domande di ricerca possiamo porci a partire da queste vicende? Ne elenco molto brevemente alcune.
– Com’è possibile fare definitivamente i conti con una crisi, innanzitutto della percezione del senso e dell’utilità della “politica” in tutte le sue forme? E’ probabile che nessuna operazione di unificazione di ciò che è già organizzato potrà essere sufficiente per recuperare una relazione ormai lacerata con vastissimi settori della società sempre più precaria e subalterna. Serve non dare per scontata l’adesione di chi ambiamo organizzare agli schemi (innanzitutto mentali) secondo i quali pensiamo di poterli organizzare. Oggi, nella società della frammentazione, o le forze organizzate fanno della diversità di interessi, di capacità di impegno, di competenze, di tempi di vita e di lavoro, una ricchezza da mettere a sistema per costruire intelligenza e forza collettiva, o non ci sarà alcuna affinità tra quanto si rinchiude progressivamente “in alto” e quanto si muove “nel basso”;

– Come muoversi “nel basso”, in quella varietà di fenomeni molto ampia e che spesso sfugge alle categorizzazioni del passato, interrogandoci profondamente sull’utilità e soprattutto sulla loro comprensibilità? Oggi le organizzazioni sociali hanno di fronte a sé una sfida più grande di quella che erano chiamate a svolgere dentro lo sviluppo del compromesso capitale-lavoro del ‘900. Si tratta infatti di concepire l’azione delle organizzazioni sociali oltre una divisione meccanica dei compiti tra Partito e soggetti sociali e dentro un processo di (ri)politicizzazione della società: aggredire un piano generale del discorso politico, ricostituire un senso comune della possibilità della trasformazione della realtà tramite l’azione quotidiana del mutualismo, dell’aggregazione, della vertenzialità locale. Una trasformazione radicale e al tempo stesso concreta. Tutto ciò non significa porsi contro la prospettiva della costruzione di una rappresentanza politica di tali istanze; la sfida è piuttosto quella di costruire uno spazio di cooperazione tra forme diverse dell’azione politica;

– Dove collocare gli sforzi per la ricostruzione di rapporti di forza favorevoli nella nostra società? Il livello locale, delle relazioni di prossimità, dei problemi e delle soluzioni quotidiane, è inevitabilmente il primo campo d’intervento. Tuttavia non si può mettere in secondo piano la prospettiva europea, quella dell’azione in un campo senza e contro la democrazia, come il caso greco ha recentemente dimostrato. Autogoverno (locale) e connessione (transnazionale) sono due ipotesi di lavoro che devono camminare di pari passo.

* portavoce nazionale della Rete della conoscenza