In occasione della Giornata Internazionale contro la violenza maschile sulle donne, domani si manifesta nei cinque continenti. Si ricorda l’assassinio delle tre sorelle Mirabal – Patria, Minerva e Maria Teresa – trucidate il 25 novembre del 1960 nella Repubblica Dominicana. Una banda di sicari pose fine allora alla vita delle 3 mariposas, le tre farfalle come le chiamavano i loro compagni di lotta. Ne rese, però, imperitura la resistenza, e smosse le coscienze contro la ferocia del dittatore Trujillo, che aveva dato personalmente l’ordine di uccidere le ragazze.

UN ESEMPIO di resistenza per le donne che, ogni anno, rifiutano di sentirsi vittime di fronte alla recrudescenza dei femminicidi e delle violenze maschili, che non conosce confini: e che ostenta alti indici anche nei paesi in cui la libertà femminile fa più paura al patriarcato. Dal Canada agli Stati uniti, dall’Australia alla Svezia, le classifiche dei femminicidi, prevalentemente commessi tra le mura domestiche, attraversano tutte le classi sociali. E, certo, i dati delle violenze emergono maggiormente perché le donne hanno meno paura di denunciare, e perché, a seguito delle loro lotte, la società ha adottato leggi che consentono di riconoscere l’omicidio di genere nella sua specificità: si uccide una donna in quanto donna.

IL CORPO delle donne è bottino di guerra e preda del ritorno di nuovi arcaismi religiosi, dall’Africa al Medioriente all’Europa, dove si può morire d’aborto perché i medici «obiettori» rifiutano di applicare la legge. Ma nell’immagine delle donne che si liberano del velo integrale dopo essere sfuggite all’Isis c’è il senso forte delle manifestazioni di questo anno, unite nello slogan «Non una di meno», declinato in tutte le lingue. In Turchia, a protestare contro la legge di Erdogan, che vorrebbe legalizzare lo stupro delle spose bambine, si sono unite sia le femministe che le islamiche. E la resistenza delle donne curde, dalla Turchia a Kobane, parla a tutte le piazze. Le curde, anche in Italia, marceranno il 26. Ma anche le donne siriane, che combattono per la loro libertà contro l’invasione del Califfato e quella nordamericana, si faranno sentire domani.

LA CAMPAGNA «Non una di meno» ha preso forza di recente a partire dall’Argentina, dopo uno stupro particolarmente barbaro di una giovanissima. Da lì uno «sciopero delle donne» che ha portato alla sospensione di ogni tipo di attività, dall’America latina all’Europa, all’Asia. Nel continente latinoamericano, le donne stanno guidando i cambiamenti strutturali di questo nuovo secolo e, nei paesi in cui hanno eletto governi progressisti o socialisti, hanno realizzato cambiamenti giuridici importanti. A differenza di molti paesi europei, dove la crisi del femminismo si è consumata in quella delle sinistre, in quella parte dell’America latina che si richiama al «socialismo del XXI secolo» le donne hanno conquistato libertà per tutte e tutti: pagando anche un prezzo alto in paesi come il Venezuela, dove le destre e il paramilitarismo prendono di mira le nuove leader comunitarie, e gli omicidi politici di donne sono in aumento.

A FRONTE dei progressi ottenuti, sia dalle donne che dai movimenti Lgbtq, le cifre dei femminicidi restano allarmanti in America latina e nei Caraibi. Gli indici più alti di femminicidio si registrano in quel continente. Secondo dati della Cepal, ogni giorno muoiono in media 12 latinoamericane e caraibiche per il solo fatto di essere donne. L’Honduras è il paese con il maggior numero di femminicidi, 13,3 per ogni 100.000 donne. Cifre che sono aumentate dopo il golpe contro l’ex presidente Manuel Zelaya: un golpe che ha riportato indietro la sfera dei diritti ed esposto le donne che resistono agli attacchi dei latifondisti e dei paramilitari. Domani le honduregne tornano in piazza anche per ricordare l’ambientalista Berta Caceres, uccisa per la sua lotta contro le multinazionali insieme a molte altre indigene.

IN CILE le donne scendono in piazza anche in solidarietà con le native mapuche, che in questi giorni denunciano la recrudescenza delle persecuzioni contro le loro leader nei territori ancestrali. Argentina e Guatemala seguono l’Honduras nella triste classifica dei femminicidi. In Argentina è arrivata in parlamento la legge sull’interruzione di gravidanza, ma la battaglia per farla passare, nella nuova situazione di attacco ai diritti delle donne portato avanti dal governo Macri, è impari. In Guatemala, le donne manifestano contro i matrimoni precoci e le violenze impunite: di ieri, durante la feroce guerra civile, e di oggi.

IN MESSICO, a 10 anni dall’approvazione di una Legge per il diritto delle donne a una vita libera dalle violenze, si registra una media di sette femminicidi al giorno. Le organizzazioni delle donne hanno chiesto al governo di dichiarare «l’emergenza di genere a livello nazionale». Domani, al confine con gli Stati uniti manifestano le Madri degli scomparsi, che cercano i corpi dei loro cari: in maggioranza donne. Dall’altra parte del confine, negli Usa, risponderanno le loro sorelle.