Dalla settimana che ha visto la sua prima conferenza stampa in sei mesi, un briefing surreale completo di insulti, improbabili proclami e carte false (i dossier che avrebbero dimostrato l’assenza di conflitti di interesse ammucchiati su un tavolo, poi rivelatisi fogli bianchi) Trump è uscito semmai rafforzato.

CON OGNI ESTERNAZIONE e infrazione il caudillo d’America dimostra che le venerabili e decantate istituzioni dei padre fondatori nulla possono contro  la forza eversiva di King Donald. Le istituzioni americane non danno segno di avere anticorpi efficaci contro il presidente assurto al trono con tre milioni di voti in meno dell’avversaria. E a Washington procedono le confirmation del gabinetto che dovrà prendere servizio venerdì. Gli amministratori Goldman Sachs, generali e integralisti di destra che ne faranno parte hanno cominciato a rispondere alle domande delle commissioni parlamentari incaricate della loro ratifica. Salvo improbabili eccezioni il governo alla fine è destinato a venire ratificato nella forma  indicata da Trump. Intanto ancor prima dell’insediamento, il congresso repubblicano ha iniziato l’opera al programma trumpista.

IN PRIMO LUOGO LA CANCELLAZIONE della odiata riforma sanitaria di Obama. Votazioni in entrambe le Camere hanno posto le basi per l’annullamento della legge che aveva esteso la copertura medica a metà dei 40 milioni di americani che ne erano sprovvisti.  «Obamacare», l’imperfetta riforma basata su sussidi pubblici ad assicuratori privati, era diventata ossessione della destra che per sette anni l’ha denunciata come sopruso bolscevico al libero mercato della salute.

L’IMMEDIATA ABROGAZIONE si profila però adesso come una potenziale vittoria di Pirro per i repubblicani che dovranno firmare il decreto che getterà sul lastrico sanitario 20 milioni di persone. Più che da una inefficace opposizione democratica, le sorti del programma  scandito dai proclami di Trump dipenderà dalle eventuali defezioni repubblicane. Il fronte potrebbe incrinarsi sulle «deportazioni immediate» dei 12 milioni di residenti clandestini promesse da Trump. Anche la muraglia sul confine che Trump ha confermato potrebbe avere qualche difficoltà dato che necessiterebbe di stanziamenti  pubblici di 25 miliardi di dollari. Rimane contenzioso infine il fronte russo che continua a contrariare soprattutto falchi illustri come John McCain e Lindsey Graham.

Dopo gli screzi aperti con James Clapper e i servizi segreti che hanno stilato il rapporto commissionato da Obama (invero poco sostanzioso) sulle ingerenze di Putin nelle elezioni, una seconda inchiesta ufficiale è in corso per conto della commissione intelligence del senato. Da canto suo Trump ha nominato un nuovo direttore della Cia e annunciato anche lui un nuovo rapporto: quello compilato dal fedelissimo Mike Pompeo sarà presumibilmente più gradito al nuovo presidente.

ALLA PRATICA RUSSA si è aggiunto in settimana il «dossier Steele» dal nome dell’agente dei servizi britannici che ha insinuato legami annosi fra Trump e l’apparato politico di Putin e la presunta documentazione in mano russa su incontri sconvenienti fra Trump e prostitute russe al Ritz Carlton di Mosca. Un operazione dal plausibile movente politico ma destinata a lasciare uno strascico di ombre sulla nuova amministrazione.

IERI TRUMP in un’intervista al Wall Street Journal ha fatto sapere di essere pronto a rivedere le sanzioni alla Russia, bacchettando invece la Cina, cui non ha concesso neanche la teoria di «una sola Cina» riguardo al problema sollevato dalla sua telefonata con la presidente taiwanese. Quanto alla Russia, il primo banco di prova a questo riguardo sarà la Siria. Il Washington Post ha rivelato che nel giorno stesso in cui a dicembre Obama annunciava l’espulsione di 35 diplomatici russi, il consigliere di Trump per la sicurezza, Mike Flynn, si scambiava cinque telefonata con l’ambasciatore russo a Washington Sergei Kylsiak. Un ultimo schiaffo al protocollo in cui sarebbe stata organizzata la prima telefonata fra Putin e Trump e definita la partecipazione americana ai negoziati sulla Siria convocati da Putin ed Erdogan in Kazakhistan a fine gennaio.

Ad Astana si potrebbe cominciare a capire meglio la forma di una nuova cooperazione  Russia-Usa.