A 80 giorni dal voto, Donald Trump vola in Messico per incontrare il presidente Peña Nieto (notte in Italia), subito prima di un discorso sull’immigrazione che il candidato repubblicano terrà in Arizona che si annuncia importante ma dai contorni poco chiari. La reazione della candidata democratica all’annuncio del viaggio di Trump non si è fatta attendere. Subito, tramite il suo account twitter, Hillary Clinton ha ricordato che tutta la campagna elettorale di Trump si è basata su questa guerra al Messico, cominciata 14 mesi fa, in quanto già nel suo primissimo comizio «the Donald» aveva annunciato la propria decisione di correre per le presidenziali proprio puntando il dito contro l’invasione di messicani, «tutti ladri e violentatori» contro cui costruire un «muro» al confine. Ora bisogna fare chiarezza: in America un problema con i messicani non c’è.

Esiste un problema con gli afroamericani, con gli arabi americani o meno, ma il problema messicano è stato artificialmente creato da Trump, non c’è perché non viene percepito come tale, o al massimo è un problema per i tanti clandestini sfruttati che di fatto mandano avanti questo Paese lavando biancheria, pulendo case e negozi, curando bambini e anziani, consegnando cibo e oggetti a qualsiasi ora. La comunità messicana è sempre stata percepita come docile, sfortunata, necessaria. La consapevolezza che si faccia carico di tutto il lavoro pesante e sottopagato che gli americani non vogliono fare è diffusa.

Non parliamo di generici latinos, ma dei vicini di casa del confine del sud che se attraversano il confine illegalmente con i coyotes lo fanno a rischio della propria vita nella speranza di trovare un qualsiasi lavoro nel mercato dei mille servizi di cui gli Stati uniti necessitano per poter funzionare. Ciò che ha fatto Trump è stato reindirizzare la rabbia e la frustrazione di una classe medio bassa declassata a bassa, e di quella che era bassa ridotta ancora peggio, verso un falso nemico, distogliendo l’attenzione dal sistema che li ha stritolati. Il trucco più vecchio del mondo.
Trump straparla di un’epoca che non verrà mai ripristinata in quanto il capitalismo americano come lo si conosceva è finito nel settembre 2008; potranno esserci altre declinazioni, come sta dimostrando il Colorado che si avvia verso una sanità di stato grazie ai proventi delle tasse derivate dalla vendita legale della marijuana, ad esempio, o il crescente indotto derivato dagli investimenti nelle energie verdi, ma quell’America anni ‘80 a cui allude Trump è un’imbarazzante cartolina ingiallita.

Quando la settimana scorsa il presidente messicano Peña Nieto aveva invitato sia Trump che Hillary Clinton, forse non si aspettava che Trump accettasse proprio a ridosso del comizio in Arizona, stato del sud, quindi vicino al confine; il presidente messicano ha sempre dichiarato che costruire un muro tra i due Stati non era una buona idea, e che i messicani non avrebbero mai pagato per quel muro, come invece afferma Trump e i toni tra i due sono sempre stati duri. Ora, in una nota, Peña Nieto ha dichiarato che il dialogo «è necessario per promuovere gli interessi del Messico nel mondo e, prima di tutto, per proteggere i messicani ovunque si trovino». Atteggiamento comprensibile ma non accettato con entusiasmo dai suoi connazionali.

«È come quando hai un bullo come vicino di casa che ti aggredisce e offende, tuo padre lo sa eppure lo invita a cena a casa», ha twittato il politologo José Merino. Per l’analista americano Nate Silver, l’impressione diffusa dei media statunitensi è che questo incontro possa essere un colpo di diplomazia di Trump, tanto quanto un bagno di fango. Questo la dice lunga sull’affidabilità del candidato alla presidenza, una possibile bomba a orologeria nella Casa bianca.

Dopo una tavola rotonda nel corso di questo mese, il nuovo (e già discusso) direttore della sua campagna repubblicana, ha dichiarato che la posizione di Trump sull’espulsione degli immigrati illegali è «da definire». Nei giorni successivi, Trump e lo staff hanno diffuso messaggi contrastanti, con il candidato che a volte non ha escluso un «alleggerimento» della sua posizione, e altre ha affermato che la stessa potrebbe divenire ancora più «dura». Come ha fatto notare la consigliera della campagna di Clinton, Jennifer Palmieri, «quello che davvero conta è cosa dirà Trump agli elettori in Arizona, e se rimarrà impegnato al suo programma per la divisione delle famiglie e per la deportazione di milioni di persone».