Capelli quasi a spazzola, occhi vivaci con un filo di trucco, capo mai velato, Sevil Cambek, economista e funzionaria statale per quasi tutta la vita, di origini turco-tatare, recentemente sposata con un uomo d’affari siriano, a 52 anni stava per raggiungere due primati in un colpo solo: primo premier di fede musulmana in un paese dell’Unione europea – e membro della Nato – e prima donna a capo di un governo in Romania.

LA SUA NOMINA è stata fermata ieri, con un atto d’imperio mai adottato prima, dal presidente della Repubblica rumeno Klaus Iohannis. Lei stessa ha appreso dalla dichiarazione resa in tv dal capo dello Stato che il suo nome era stato rigettato, per altro con motivazioni che sono rimaste nel non detto, o quanto meno nel vago. Iohannis si è infatti limitato a dire che dopo averci pensato una settimana, avendo pesato «attentamente gli argomenti a favore e quelli contrari a questa proposta», ha deciso «di non accettarla».

Il leader socialdemocratico (Psd) Liviu Dragnea, colui che, non potendo assumere la premiership perché condannato a due anni con la condizionale per frode elettorale ai tempi del referendum contro Basescu, aveva proposto il nome di lei insieme agli alleati di Alleanza liberaldemocratica (Alde), ieri si è detto «sorpreso» di questo rigetto presidenziale. La sua reazione però non si è fatta attendere: ha minacciato il presidente Iohannis di sottoporlo alla procedura di «impeachment», non nuova in Romania, cioè di indire entro un mese un referendum per sospenderlo dall’incarico.

LO SCORSO 21 DICEMBRE, quando il nome di Sevil è stato proposto ufficialmente, l’opposizione di centrodestra ha dipinto Sevil come la «burattina di Dragnea» mentre i siti di giornalismo investigativo rumeni si sono scatenati a passare ai raggi X il suo passato. In particolare si sono concentrati sui rapporti tra lei e il consorte, il siriano Akram Shhaideh, da vari anni residente in Romania ma che ha chiesto, e ottenuto, la cittadinanza proprio nei sei mesi in cui Sevil è stata ministra dello Sviluppo del governo di Viktor Ponta, costretto di lì a poco alle dimissioni sull’onda dell’indignazione popolare anti-corruzione successiva all’incendio della discoteca di Bucarest in cui morirono 64 persone, nel 2015.

IL SITO Riseproject.ro fa notare che il fratello di Akram nello stesso periodo fu invece soggetto a un provvedimento di interdizione dal territorio europeo, per i legami stretti con il governo di Bashar Assad, del quale lo stesso Akram avrebbe fatto parte fino al 2010. Un altro sito rumeno, Hotnews, ha scandagliato la bacheca Facebook del marito della premier in pectore scoprendo messaggi di appoggio al regime di Damasco e ai suoi alleati libanesi Hezbollah. Sempre lo stesso sito sostiene che i servizi segreti avrebbero giudicato «assolutamente negativa» la nomina della signora Shhaideh a primo ministro, una notizia che sia Dragnea – testimone di nozze tra i due – sia il suo alleato Tariceanu di Alde hanno commentato sostenendo che «non è l’intelligence a poter decidere chi governa il paese».

INCERTA è la possibilità del ricorso alla sospensione di Iohannis se, come dicono i liberal-nazionali ma anche alcuni costituzionalisti, non avrebbe violato le sue prerogative chiedendo un’altra scelta alla maggioranza. Per il momento Dragnea non recede su Sevil e sembra aver ingaggiato un braccio di ferro mortale con il suo vecchio rivale, Iohannis, nazional-liberale e della minoranza sassone della Transilvania: lo stesso che promettendo un premier senza pendenze penali lo ha escluso preventivamente dall’incarico.