La Marca del governatore Luca Zaia (che parla di «africanizzazione del Veneto»…) non è più serenissima. Anzi, assomiglia terribilmente al fasciolighismo che Matteo Salvini aveva battezzato a Roma, in piazza del popolo con i tricolori della destra estrema fra il verde «padano».
Salvini è annunciato stasera, al termine di 72 ore di «guerra» sulla pelle di 101 migranti. Non li volevano a Quinto nei condomini di via Legnago, dove la protesta di residenti più Forza Nuova è culminata nel rogo notturno dei mobili, nelle minacce agli operatori della coop, nelle scintille con i carabinieri che consegnavano il pane. E così ieri intorno alle 13 i profughi sono saliti a bordo del bus che li ha «traslocati» nell’ex caserma Serena, al confine tra Casier e Treviso.
Ma sarà arduo archiviare il «caso Quinto». In particolare, quando la protesta è degerata prima nell’intrusione all’interno degli appartamenti ancora vuoti. E poi nel «pan e vin» in versione razzista: divani, mobili e quant’altro dato alle fiamme in strada davanti al condominio di via Legnago.
Sotto il fuoco incrociato delle polemiche resta il prefetto Maria Augusta Marrosu, tanto più che è previsto l’arrivo di altri 63 migranti nel fine settimana. Zaia è stato il primo a puntare l’indice, ma anche i sindaci direttamente coinvolti sono di fatto d’accordo con il presidente della Regione.
In trincea, nel solco del melting pot e dell’assoluta difesa dei diritti, i centri sociali mentre il mondo cattolico si riconosce nella «scomunica» dell’Avvenire nei confronti di Zaia. E ieri mattina nel cuore di Treviso gli attivisti dei centri sociali hanno presidiato la prefettura: tutti seduti fra il cancello e il portone, mentre arrivavano il questore Tommaso Cacciapaglia e il comandante dei carabinieri Ruggero Capodivetro. Parapiglia con «sollevamento pesi» ma soprattutto manganellate della celere: alla fine, cinque arrestati e 28 denunce.
«Alimentare la “guerra fra poveri” come stanno facendo istituzioni e forze politiche è una strategia volta all’esasperazione. Bisogna invece avere il coraggio di attaccare proprio quelle istituzioni responsabili del patrimonio residenziale pubblico che deve essere assegnato a chi ne ha bisogno, coloro che continuano a speculare sulle nostre terre, regalando centinaia di migliaia di euro ai vari mafiosetti del business edilizio» insistono i ragazzi del centro sociale Django che continuano a battersi per una Treviso «solidale e accogliente».
Clima incandescente anche per il Pd. Antonella Tocchetto, consigliere comunale, è stata «salvata» dalle forze dell’ordine mentre cercava di dialogare con le famiglie di Quinto. Circondata da esponenti di Lega e Forza Nuova, se l’è vista davvero brutta. E il sindaco Giovanni Manildo ha perso l’anima da boy scout e se la prende con il governo Renzi: «Il prefetto ha creato il problema e invece di risolverlo continua ad esacerbarlo. Emerge con forza una verità schiacciante: i sindaci della Marca sono al fronte, lasciati soli dal ministro Alfano a gestire l’emergenza. Non è possibile replicare le scene di Quinto. Alfano venga qui e al più presto».
La miccia sulla santa barbara, a Nord Est, è accesa da più parti. A Eraclea (Venezia) in piena stagione turistica i 200 profughi – ospiti in 63 unità di un residence, affittato dalla onlus – si sono riversati in strada con i materassi. Chiedevano un medico, pasti decenti, la possibilità di lavarsi…
A Padova, invece, è annunciata per martedì la manifestazione dei commercianti sintonizzati con la giunta di centrodestra. Pretendono lo sgombero della tendopoli, allestita all’interno dell’ex caserma Prandina a ridosso delle mura cinquecentesche del centro storico. Il sindaco leghista Massimo Bitonci aveva sollecitato una verifica igienico-sanitaria della struttura da parte dell’Usl. È risultata «idonea» ad ospitare i profughi. Ma il sindaco non si arrende: prima tuona contro «l’accoglienza dei clandestini che governo e prefettura non sanno più dove mettere», poi si prepara a replicare la protesta di piazza.
In Friuli, la soluzione è identica: nell’ex caserma Cavarzerani di Udine con 170 mila euro si sta ristrutturando la palazzina: 80 posti letto per chi vive in tenda. Singolare, invece, la situazione a Fernetti, frazione di Monrupino (Trieste) a ridosso dell’ormai ex valico di frontiera. I residenti sono 66, mentre i richiedenti asilo afghani arrivati in autunno 70. Così gli sloveni si regalano una battuta: «Siamo diventati minoranza anche quassù».