Si conclude il conflitto armato più lungo e sanguinoso –oltre sette milioni di vittime- dell’America latina, quello che per più di cinquant’anni ha opposto il movimento guerrigliero delle Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc) al governo di Bogotá. L’annuncio è stato dato ieri all’Avana, dove da più di tre anni, con la mediazione di Cuba e della Norvegia, sono in corso le trattative di pace tra Farc e governo colombiano. Il comunicato afferma che è stato raggiunto «l’accordo bilaterale e definitivo per giungere alla fine degli scontri armati e delle ostilità; per l’abbandono delle armi; per le garanzie di sicurezza e la lotta contro le organizzazioni criminali (ovvero i paramilitari colombiani, ndr) responsabili di omicidi e massacri o che attentano contro i difensori dei diritti umani, movimenti sociali o movimenti politici».

La piena sostanza dell’accordo sarà chiarita oggi nel corso dell’annuncio ufficiale dell’«ultimo giorno di guerra» in Colombia che verrà dato all’Avana dai capi negoziatori, alla presenza del leader guerrigliero “Timoshenko”, al secolo Rodrigo Londoño Echeverri, del presidente della Colombia, Juan Manuel Santos e del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, accompagnato dai presidenti del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Parteciperanno alla cerimonia sia i rappresentanti dei due paesi garanti del processo di pace -per Cuba il presidente Raúl Castro, per la Novegia il ministro degli Esteri, Borge Brende – sia i rappresentanti degli “stati accompagnanti” il processo di pace, per il Cile la presidente Michelle Bachelet, per il Venezuela Nicolás Maduro.

Completeranno la folta delegazione, il delegato speciale degli Stati Uniti per il processo di pace, Bernie Aronson, e dell’Unione europea, Eamon Gilmore, accompagnati dal presidente della Repubblica dominicana (presidente di turno della Comunità degli stati latinoamericani e del Caribe – Celac -), Danilo Medina, e il presidente di San Salvador, Salvador Sáncez Cerén.

L’accordo raggiunto riguarda il capitolo 3 dei negoziati di pace, ovvero la “Fine del conflitto”, ma perché si giunga a una completa cessazione della più lunga guerra dell’America latina, è necessario giungere a un accordo sul capitolo 6 che riguarda l’applicazione e la verifica sul campo degli accordi, in primis i luoghi e le procedure per la consegna delle armi della guerriglia e suppostamente dei gruppi paramilitari, e la conclusione del processo referendario annunciato perché la popolazione confermi gli accordi.

Il Consiglio di sicuerzza dell’Onu lo scorso gennaio ha approvato la creazione di una speciale missione politica che in Colombia verificherà il cessate il fuoco bilaterale. Questo processo di verifica dovrebbe durare un anno, con una possibile estensione su richiesta del governo o delle Farc e inizierà alla conclusione dell’accordo definitivo di pace, che il presidente Santos confida firmare entro il 20 luglio, giorno dell’indipendenza della Colombia. Per questa data, il capo di stato colombiano si augura che la Corte Costituzionale abbia approvato l’effettuazione del referendum popolare e che siano messi in opera tutti i meccanismi giuridici che rendano possibile l’applicazione degli accordi raggiunti all’Avana con le Farc.

Più prudente, il leader guerrigliero Timoshenko non ha voluto fissare una data limite per la conclusione definitiva del processo di pace: «La pratica ha dimostrato che fissare scadenze precise può danneggiare il processo» anche quando «manca un pelo» alla fine della guerra. Le Farc avevano dichiarato un cessate il fuoco unilaterale nel luglio dell’anno scorso, fatto che aveva ridotto notevolmente l’intensità del conflitto armato. Da parte sua, il governo colombiano aveva rifiutato di mettere fine all’offensiva terrestre contro le forze guerrigliere, ma aveva deciso di sospendere i bombardamenti aerei.

In precedenza, nel corso delle lunghe trattative di pace, i rappresentanti della guerriglia e del governo avevano potuto raggiungere una serie di accordi su questioni economiche e politiche, come lo sviluppo agricolo, soprattutto delle zone controllate dalle Farc; sulla possibilità che i guerriglieri che abbiano abbandonato le armi possano partecipare attivamente alla politica colombiana; sulla lotta congiunta al narcotraffico; sull’attenzione alle vittime del conflitto e sull’applicazione di un sistema di giustizia di transizione.