Erano lì, chi in piedi, chi seduto a terra, ad aspettare un caporale e un lavoro a giornata. Un uomo si è avvicinato in un camioncino dicendo di cercare braccia per qualche ora. Loro si sono avvicinati subito, si sono spinti a vicenda per essere assunti per primi. E il camioncino è saltato in aria: sono morte così 36 persone, per lo più lavoratori a giornata, in una piazza del quartiere sciita di Sadr City a Baghdad, in mezzo ad un mercato di frutta e verdura.

Miliziani sadristi hanno usato le auto private per trasportare i feriti,. A terra corpi a brandelli, tra pezzi di frutta, badili e asce degli operai. A rivendicare è stato lo Stato Islamico. Poche ore dopo è giunta la seconda esplosione, sempre a Baghdad, sempre in un quartiere sciita: 8 persone uccise e 30 ferite a Zafraniya. Poi la terza e la quarta, stavolta contro due ospedali: uno a Sadr City dove sono morti 27 civili e uno nel quartiere di al-Kindi, una vittima. Solo tre giorni fa, il 31 dicembre, una doppia esplosione firmata dall’Isis aveva ucciso 27 iracheni in un mercato nella zona di al-Sinek, nel centro di Baghdad, pieno di gente che faceva spesa per festeggiare il nuovo anno.

Così muore lentamente la capitale di uno Stato fallito, sotto i colpi della strategia settaria del “califfato” che perde terreno ma non spinta bellica. Ad ogni attacco, ormai con cadenza settimanale, la gente si raduna e urla la propria rabbia contro il governo: con la capitale circondata da checkpoint e piantonata da soldati ad ogni angolo, quasi nessun attentato viene impedito.

Questo il messaggio che gli islamisti intendono mandare colpendo al cuore Baghdad: il governo è politicamente morto, gli sciiti saranno facile preda dei sunniti schiacciati dalle discriminazioni interne. È il facile gioco della frammentazione, un divide et impera nello stile del “califfato” messo sotto pressione a ovest del paese.

Domenica il comandante delle unità di contro-terrorismo, il generale al-Saadi, ha annunciato la ripresa del 60% di Mosul Est, dopo due mesi e mezzo di controffensiva sulla seconda città irachena. Buona parte dei civili, ancora intrappolati nell’occupazione islamista (si stima circa un milione di persone), si trova però ad ovest del fiume Tigri, spostando la lancetta della liberazione ancora più avanti: secondo il premier al-Abadi saranno necessari almeno altri tre mesi.

Poi ci sarà da ricostruire. Ma il paese è spaccato da decenni e i settarismi interni vengono infiammati da istituzioni corrotte e gruppi armati. La settimana scorsa le coalizioni sciita e sunnita all’interno del parlamento iracheno hanno raggiunto un accordo preliminare sul futuro delle zone ora occupate dall’Isis: «L’iniziativa dovrà includere il ritorno degli sfollati nelle loro città, la riconsegna delle terre ai residenti e il rilascio degli innocenti oggi prigionieri, visto che tutti hanno ammesso che ci sono degli innocenti dentro le carceri», ha spiegato il deputato sunnita al-Samarrai.

Ma di dettagli più precisi non ce ne sono e forte è lo scetticismo nei confronti di una classe politica che si è spartita potere, influenza e ricchezze. Specchio della rabbia che cova tra la popolazione irachena sono state le manifestazioni di ieri a Baghdad: decine di persone sono scese in piazza per la giornalista Afran Shawqi, reporter del quotidiano online al-Aalem al-Jadeed rapita una settimana fa a Baghdad. Sono stati respinti dalla polizia, dai gas lacrimogeni e dalle pallottole.

Secondo la famiglia i rapitori si sono presentati come membri delle forze di sicurezza. Ma di più non si sa. Di certo quello dei rapimenti è diventato un fenomeno incontrollabile, soprattutto nella capitale. Statistiche precise non esistono, molti non denunciano le sparizioni preferendo pagare il riscatto senza coinvolgere le autorità. Ma secondo fonti interne al Ministero degli Interni sentite dall’agenzia Middle East Eye si sarebbero registrati almeno 745 casi nei primi nove mesi del 2016, atti criminali imputabili a gang armate e ben organizzate, a volte fuoriuscite dalle milizie sciite a sostegno del governo.

Alcune bande sono interessate solo al denaro (con riscatti che oscillano tra i 10mila e i 100mila dollari a seconda del benessere della famiglia colpita), altre ad incrementare la propria influenza nelle zone dove operano. Un altro esempio della debolezza del governo, tra le cui falle si muovono criminali e miliziani di ogni estrazione.