Pelare il carciofo romano e distillare la grappa allo zafferano in Val d’Orcia. Collocate rispettivamente in apertura e in chiusura, queste due metafore ‘slow-food’ incorniciano un dotto saggio scientifico su Virgilio uscito in Inghilterra (The Epic Distilled Studies in the Composition of the Aeneid, Oxford University Press, pp. XIV-160, £ 75,00) e simultaneamente, potremmo dire, fotografano il suo atipico autore Nicholas Horsfall, un peso massimo tra i virgilianisti, che riesce a essere colloquiale ed esistenziale, ossia leggero, persino nei punti più ardui e spericolati della prassi filologica. Ogni autunno fa ritorno in Italia – dove ha vissuto in passato molti anni – muovendo in macchina direttamente dalla Scozia per un rituale soggiorno, soprattutto in Toscana e in Triveneto, presso amici storici e colleghi prediletti, ai cui studenti dispensa qualche saggio della sua dottrina. Il carciofo indica con la sua struttura stratigrafica le difficoltà che incontriamo di fronte a certi passi dell’Eneide. Non ci si ferma alle foglie più esterne ma il cuore, tenero e saporito, bisogna conquistarselo per gradi, dopo aver sapientemente spogliato, scartato. Nel rappresentare questo processo Horsfall impiega però una parola conflittuale, «struggle». Il lettore del poema, anche se è molto esperto, viene continuamente sfidato da una forma poetica assai più profonda e insidiosa di quanto essa stessa non dichiari: Virgilio cosa ha voluto dirci in questo punto, precisamente? Perché il ramo d’oro fa resistenza («cunctantem») quando Enea lo afferra per strapparlo? Come mai la morte di Palinuro, nel quinto e nel sesto Libro, è raccontata in due versioni così discrepanti da risultare contraddittorie? A cosa sono dovuti gli (apparenti?) errori di mitologia, le imprecisioni relative alle leggende etrusche, i difetti tecnici nella descrizione della poliorcetica o dell’architettura del telaio? Non sempre sono convincenti e risolutive le spiegazioni fornite dalla tradizione scoliastica (Donato, Servio) e le testimonianze dei lettori antichi (Igino, Macrobio): l’Eneide ‘di Horsfall’, potremmo dire, è così intrisa di specifiche nozioni enciclopediche – l’antiquaria, la geografia, la storia, le usanze e i costumi arcaici, la religione, il folclore – da apparirci improvvisamente oscura, sfumata, polivalente, ambigua.
Anziché rifugiarsi in spiegazioni generiche e improduttive («è mancata l’ultima mano!») o accontentarsi di attribuire a Virgilio intenzioni che sono in realtà frutto di fantasmi interpretativi moderni (come la ‘teoria delle due voci’), destinati a trasformarsi prima o poi in camicie di forza, è preferibile leggere e rileggere il testo con metodo e rigore tradizionali, lasciandosi guidare via via dal «colloquio» che il poeta ha ingaggiato con il suo pubblico: «Virgilio – sostiene Horsfall – inventa, ma poi fa di tutto per nascondere le proprie tracce». Colloquio decisamente agonistico, dunque, centrato non tanto sulla prassi poetico-letteraria, formale, ma sullo scambio intellettuale e conoscitivo; e questo è un preciso asse programmatico di Epic Distilled e della sua scholarship.
Qualcuno potrebbe pensare che una così implacabile e tenace ‘cartolarizzazione’ dell’Eneide finisca per soffocarla. Per la verità, anche nelle dissertazioni più necessariamente (causa Virgilio) erudite, il lettore trova sempre la sua riserva di ossigeno: una certa agilità espositiva, l’economia, anche tipografica, nell’apparecchiare i materiali (esemplare, tra gli altri, lo schema della ‘biografia’ di Camilla alle pagine 56-60), tecnica, questa, che Horsfall ha lungamente sperimentato nella serie dei commenti virgiliani, di cui diremo. Né va trascurata la genuina passione di vita che trapela dal corpo a corpo testuale. Ma soprattutto la fiamma anglosassone del raccontare e del ricostruire, anche quando ingrandisce i dettagli minimi, ci fa sempre sentire, sotto, il pulsare della Storia.
Facciamo un passo indietro. Durante la lunga residenza romana cui si è accennato, Horsfall riunisce in volume da Liguori, è il 1991, una compatta serie di lezioni sotto il titolo Virgilio: l’epopea in alambicco. È il libro che saggia in maniera definitiva un metodo di lettura, e che di lì a qualche anno darà il via a una fertile stagione di commenti continui all’Eneide. Oggi, retrospettivamente, possiamo affermare che esso è anche l’Urtext di questo Epic Distilled. Venne composto, nonostante l’eccesso di d eufoniche, in un impeccabile italiano – lingua nel frattempo scivolata fuori dalla produzione scientifica dei classicisti (compresi gli stessi italiani). L’Alambicco era un libro fine e singolare, dal titolo prezioso e, a quell’altezza cronologica, provocatorio; presto venne annoverato in ogni piramide bibliografica – né poteva essere diversamente dal momento che Nicholas Horsfall si era distinto da tempo per una invidiabile batteria di contributi puntuali e di recensioni niente affatto cerimoniose, non solo di ambito virgiliano. Ma, ripeto, venticinque anni fa, dominando le grandi «interpretazioni globali» (parole sue) di Virgilio, tornare allo studio «delle fonti e dell’arte erudita» dell’Eneide, cioè in definitiva a un approccio più umile, costituiva una sfida apertamente controcorrente. I risultati gli avrebbero dato ragione.
Adesso le intestazioni dei singoli saggi dell’Alambicco («Pelare il carciofo», «Doctus et lector», «Il rinnovamento del mito», «Incoerenze», «I segnali per strada» ecc.), e il titolo di copertina ‘alchemico’, sono migrati come un plotoncino oramai familiare nel nuovo Epic Distilled oxoniense, che curiosamente mantiene lo stesso numero di pagine (fatte salve le diversità di conteggio-parole dovute al cambio di lingua): ma è solo l’apparato esterno, o meglio l’armatura esegetico-editoriale. «This book is not, is NOT a translation of my L’epopea in alambicco…» avverte l’autore nella prima riga della prefazione. L’«outline», l’impianto è inalterato, i passi dell’Eneide via via discussi invece sono in larga maggioranza nuovi o aggiornati, compresi opportuni ripensamenti, rilasciati a bilancio di una esistenza tutta virgiliana. Retrospettivamente il nuovo libro illumina il primo, scritto a quarant’anni. Se l’Alambicco preparava e annunciava di fatto le stagioni del ‘Grande Slam’ – cinque ponderosi commenti ai Libri 7, 11, 3, 2, 6 usciti a Leiden e Berlino uno dopo l’altro tra il 2000 e il 2013 –, ora Epic Distilled assorbe e recepisce, suddividendoli per temi e formato linguistico, la lunga campagna di guerra trascorsa in trincea con Virgilio. Alla crescita del dibattito e della bibliografia dal ’91 a oggi (cito, tra i più utilizzati qui, Inconsistency in Roman epic di J.J. O’Hara, 2007) Horsfall risponde con un più spedito e maturo stile nell’organizzare le costellazione dei passi: come nella dissertazione sulla selva di Albunea, in appendice al primo capitolo, la sede dell’oracolo di Fauno da cui si reca il re Latino in cerca di responsi («a real place? A real oracle?…»). (Mentre scorriamo la fitta inchiesta, etimologica e topografica, torna come per una lampada magica il prologo laziale dell’Eneide televisiva di Franco Rossi, scandito dalla voce fuori campo. Era il 1971 e quello fu il primo contatto da ragazzini con l’Italia di Enea).
Ora che siamo molto adulti, eccoci invitati a metterci ‘nei panni’ di un lettore-tipo di età augustea, per forza di cose coltissimo. Cerchiamo di afferrare dal suo punto di vista (dimenticando cioè certe vertigini interpretative postmoderne) le molteplici ‘voci’ del vasto patrimonio poetico travasato, anzi distillato, nell’Eneide: patrimonio che per noi, almeno in parte, è irrimediabilmente perduto, inaccessibile. Horsfall insiste sull’alessandrinismo di Virgilio – un giacimento tutt’altro che esausto e troppo a lungo trascurato dagli studi – e sulla matrice ellenistica della sua ‘arte allusiva’ (capitoli 2-3). Tuttavia questo livello ‘poetologico’ della ricerca, nel paziente processo dell’esegesi dei passi, è costantemente incrociato con la spaventosa enciclopedia su cui per così dire esso poggia: i Realien, le tradizioni, gli usi e costumi, la circolazione delle idee, la mentalità (a sorpresa, nell’asciutto regesto della bibliografia, spunta il libro di Onians sulle Origini del pensiero europeo, un titolo del tutto estraneo alle consuete bibliografie virgiliane). Non so se ci abbia pensato, ma quando studia le origini dei nomi dei personaggi dell’Eneide Horsfall ci invita a tirare giù dallo scaffale il memorabile saggio di Contini sulla onomastica manzoniana.

Si risale idealmente all’officina di Virgilio, si entra nella sua sterminata biblioteca, di cui brameremmo conoscere il catalogo (vedere l’istruttivo secondo capitolo sulle libraries pubbliche e private a Roma): è qui che prendono forma la strategia compositiva e i procedimenti poetici, mentali e psicologici con cui viene costruito il nuovo epos – di sicuro Horsfall preferirebbe il verbo plasmare (l’orsa che sagoma i cuccioli con la lingua o le mani del vasaio?). I passi studiati in The Epic Distilled, che stranamente non sono indicizzati alla fine del volume, fanno capo, come detto, a una sequenza ragionata di «questioni» e problemi scanditi per tipologia – omaggio neanche troppo implicito alla gloriosa Tecnica epica di Richard Heinze. Tuttavia le «soluzioni» proposte non sono quasi mai definitive o inappellabili, e la particolare struttura del saggio offre al lettore l’opportunità di migliorare la sua carriera di virgilianista, facendolo passare per le tappe ermeneutiche vissute da Horsfall stesso e riportate come delle avvincenti case-history in cui sfilano secoli e generazioni di esegesi, tra dottrina, umorismo e feriale impazienza («com’è pedante Igino…»).
Il penultimo capitolo del libro – in italiano: «Il poeta come gazza e il ruolo dell’anacronismo» –, è dedicato a quella specie di bricolage di alto rango che Virgilio pratica preferibilmente nell’allestire i libri italici, impiegando per esempio singoli oggetti e usanze connotati in senso antiquario (‘varroniano’?), e dal forte impatto sia linguistico-stilistico sia visivo. La metafora icastica di Virgilio ‘uccello che ruba e occulta’ risale all’Alambicco e ha un doppio significato: il primo è la predilezione, di chiara ascendenza epica, per gli interni luccicanti e sfarzosi, pieni di statue, di trofei e di travi d’oro; il secondo allude alla modalità impressionista con cui Virgilio arrederebbe il mondo («un certo vigore impressionistico…»): l ‘effetto di realtà’ è garantito, ma lo studioso inglese non userebbe mai un’espressione del genere, coniata dagli strutturalisti. In questa cornice, con la consueta esemplare schidionata di occorrenze, Horsfall passa in rassegna una (convincente) teoria di «anacronismi». I Troiani, che nei primi sei Libri dell’Eneide erano ancora figure interamente omeriche, una volta sbarcati in Italia si comportano e vivono come dei contemporanei di Virgilio. Segue nutrita disamina lessicale: strade, teatri, attrezzature, armi, tutti gli svariati e squillanti segnali della ‘modernità’ augustea. Non pura erudizione per virgilianisti incalliti, ma la formidabile sceneggiatura storiografica che mette in dialogo la nascente Roma imperiale con l’età mitica degli eroi.