No, non siamo d’accordo con Giorgio Napolitano. Non possiamo esserlo noi oppositori alla deformazione del parlamento cui mira la legge Renzi-Boschi.

A «quello che succede nel mondo e ha sulle spalle l’Italia», come dice l’ex presidente, si aggiunge e si deve aggiungere, la questione della democrazia in Italia. Questione che non si può negare, eludere, affogare nel caos delle contraddizioni del mondo.

Quante altre volte bisogna dire che a porre, a squadernare questa questione, è proprio quella legge che non è di revisione costituzionale ma di eversione della nostra Costituzione.

Perché la colpisce nel suo fondamento, sfigurandone l’identità rappresentativa attraverso la contorsione del suo organo specifico, il parlamento, in uno dei suoi due rami, il senato. La cui composizione, intanto e comunque, viene sottratta alla sovranità popolare. Dipenderà dalle scelte di un ceto politico che non eccelle per virtù repubblicane. E sarà di incredibile rappresentatività, derivando da regioni e comuni, enti ad autonomia e interessi differenziati e attribuita a titolari (consiglieri o sindaci) di altre funzioni istituzionali.

Quante altre volte dobbiamo dire che, invece di snellire il procedimento di formazione delle legge, la «Renzi-Boschi» lo porta ad otto.

Che attribuisce al governo poteri che riducono l’autonomia del parlamento.

Che ha tendenza accentratrice rispetto alle autonomie regionali anche in contrasto con il principio fondamentale dell’articolo 5 della Costituzione?

Non si può non aggiungere che, collegandosi all’Italicum, la legge Renzi-Boschi contribuisce a dissolvere la democrazia rappresentativa stravolgendo la forma di governo parlamentare e introducendo effetti autoritari nel regime repubblicano.

Perché con legge ordinaria trasforma l’elezione al parlamento in elezione del governo. La trasforma con la soppressione della rappresentanza, il carattere qualificante dello stato moderno, e, soprattutto, strumento istituzionale inderogabile della sovranità popolare, vanificandola.

Perché la riduce a diritto da esercitare in pochi minuti di un solo giorno, ogni cinque anni.

Il presidente Napolitano dice di non credere al «combinato disposto» Renzi-Boschi e Italicum. Può non credervi, ma c’è. Tanto è vero che, anche se motivandola diversamente, sollecita la riforma dell’Italicum per attenuare così gli effetti congiunti delle due leggi.

Comprimere la rappresentatività della Repubblica e l’ampiezza della sovranità popolare, o di quella che ne resta dopo la cessione di tanta parte di essa agli esecutivi dell’Ue, è o non è ragione di opposizione forte e decisa al disegno di stravolgimento della democrazia costituzionale?

C’è una questione di fondo da chiarire e sulla quale riflettere.

Si ripete ogni giorno che la legge Renzi-Boschi risponde all’ansia, solo adesso appagata, della riforma della seconda parte della Costituzione. Oggettività imporrebbe di riconoscere che questa «ansia» ha nascosto per anni la mediocrità, l’inadeguatezza, le deficienze di una classe politica che le ha rovesciate sulle istituzioni repubblicane.

Imporrebbe soprattutto di chiedersi: sono queste, proprio queste, le riforme opportune, indispensabili per adeguare la Costituzione italiane alle esigenze contemporanee? Non sono, per caso, riforme che riflettono la qualità della classe politica che ci governa?

Ancora una domanda: non fa riflettere la constatazione che ad approvare la Renzi-Boschi sia stata una risicata maggioranza e che a comporla siano stati necessari i voti di parlamentari transfughi dai loro partiti? E che, per di più, il parlamento che ha approvato ambedue le leggi in discussione è quello stesso che fu eletto con un sistema elettorale dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale?

Il No al referendum non è anche una rivendicazione della legalità costituzionale?