La settimana scorsa, l’MP britannica Jo Cox è stata assassinata. Stava svolgendo uno dei doveri più belli dei parlamentari britannici, il cosiddetto «surgery» – letteralmente un ambulatorio politico durante il quale gli MP ascoltano i loro elettori e ne accolgono lamentele, domande e richieste. Non tutti lo fanno e non tutti lo fanno spesso o bene, ma si tratta di una prova che esistono ancora dei politici aperti ed onesti, e Jo Cox era una di questi. Il presunto assassino, Thomas Mair, secondo vari testimoni ha urlato «Britain First» – ‘la Gran Bretagna prima di tutto’ – mentre sparava e pugnalava la sua vittima. Il giorno dopo, davanti allo storico tribunale The Old Bailey, Mair ha detto: «il mio nome è morte ai traditori, e libertà per la Gran Bretagna».

È possibile che lui abbia dei problemi mentali. E tanti giornali, specialmente della destra, si sono schierati dalla parte di chi offre questa interpretazione, dimenticando di non essere stati altrettanto comprensivi quando uno schizofrenico paranoico ha ucciso il soldato Lee Rigby nel 2013. Anche quell’assassino gridò la sua motivazione politica e sembrava un pazzo ma era un pazzo di colore, e ovviamente un terrorista, questa la conclusione dei giornali. Il partito di estrema destra, forse nominato da Mair, «Britain First» ha preso le distanze dall’assassino, chiedendone la pena di morte (che non esiste in Inghilterra da decenni), ma un sopralluogo della polizia nell’abitazione di Mair ha svelato numerosi testi di estrema destra ed è anche emerso che da anni Mair segue i partiti dell’estrema destra, nazionalista e razzista statunitensi, sudafricani e inglesi.

Sembra quindi che Mair sia un fascista inglese, una categoria che per tanti ha un che di paradossale; quasi una contraddizione. Il fascismo è sempre stato visto in Inghilterra come un fenomeno europeo, continentale che gli stessi inglesi hanno combattuto durante la guerra e che non possono sostenere per temperamento. Nel suo saggio sul patriottismo inglese scritto durante la guerra, «England, Your England» George Orwell afferma che il passo dell’oca degli eserciti nazisti e fascisti è una marcia impossibile in Inghilterra, dove troppi ne riderebbero. Gli inglesi essenzialmente non si lasciano prendere da questi entusiasmi fanatici. Possono rivelarsi ipocriti e crudeli in altre maniere, dice Orwell, ma non in questo modo.

Anche se il suo capolavoro 1984 ritrae un’Inghilterra sotto un regime totalitario fin troppo credibile…L’eccezione che conferma la regola è Oswald Mosely e le sue camicie nere derise da P.G. Wodehouse nella figura di Sir Roderick Spode e del suo gruppo «i pantaloncini neri». La reputazione di Oswald fu rovinata per sempre. Ma anche la reputazione dello stesso Wodehouse fu danneggiata quando fu accusato di collaborazionismo durante la guerra e i suoi libri vennero banditi dalle biblioteche. Fascisti e traditori venivano visti come un tutt’uno. Anche alcuni membri della famiglia reale rischiarono il disonore, come nel caso del Duca di Windsor e Mrs Simpson. Così forte e completo era questo consenso che il movimento punk nella sua irresistibile brama di scandalizzare non poteva fare di meglio che indossare divise naziste, come fecero i Sex Pistols in un’intervista nel 1976 e così la svastica fece ritorno, icona questa volta di una moda ribelle.

I nazi skinhead esistevano per davvero e nel telefilm Made in Britain (1982) uno straordinario e giovane Tim Roth interpretava Trevor, uno skinhead razzista e violento. Ma la sua era una rivolta totale e isolata. Non apparteneva ad un gruppo e nonostante gli insulti razzisti e l’odio, non partiva da un’ideologia ma da un autolesionismo che affrontava con rabbia tutti quelli che si trovavano in una posizione di autorità. Nel finale è un poliziotto che spiega, con lo sfollagente in mano, il sistema. La sua ribellione è estetica, culturale e quando Shane Meadows rivisita gli skinheads in This is England (2006), si sente una nostalgia per gli skinhead politicamente corretti, inclusivi e non razzisti che vengono comunque corrotti da un ex-galeotto carismatico– interpretato da Stephen Graham – che porta nel gruppo la sua ideologia estremista e violenta.

Oltre alla subcultura degli skinhead inquadrata dal realismo sociale, il fascismo si presenta come un fantasma, un incubo. Nell’ opera rock dei Pink Floyd, The Wall, il cantante Pink si trasforma in un demagogo e i concerti riecheggiano Norimberga; il Riccardo III di Ian McKellen raffigura il monarca shakespeariano in chiave opportunisticamente fascista. C’è sempre qualcosa di troppo banale in questi usi del fascismo, come in quei giovani che gridano “fascista” a chiunque si ponga un po’ più a destra di Che Guevara. Ma la scarsa visibilità culturale del fascismo e il pregiudizio che gli inglesi non abbiano il carattere adatto all’estremismo rappresentano un pericolo. L’estrema destra è sbarcata in Inghilterra. E non solo nei casi isolati alla Thomas Mair.

Durante la campagna per il Brexit il partito UKIP ha condotto una campagna pubblicitaria apertamente razzista, cosa impensabile fino a qualche anno fa. Con Le Pen in Francia, la quasi vittoria di Norbert Hofer in Austria e Mein Kampf in offerta in edicola possiamo chiederci: è questa l’Inghilterra o è questa l’Europa?