La Relazione annuale sulle droghe è stata presentata al Parlamento nel dicembre 2016 dall’allora ministra per le riforme costituzionali Elena Boschi: un documento teoricamente importante, passato tuttavia sotto silenzio stampa.

Già a un primo sguardo, si capisce perché. Per la quarta volta consecutiva da quando la legge Jervolino Vassalli (1990) introdusse l’obbligo di riferire al Parlamento, la Relazione non è preceduta dall’introduzione di un responsabile governativo, che indichi un indirizzo politico a partire dai dati esposti. E neppure contiene una presentazione che offra una cornice interpretativa dei dati contenuti, in modo che la Relazione possa rispondere alle domande fondamentali del legislatore: i dati raccolti sono davvero quelli più utili per indirizzare le politiche? Se sì, confermano o smentiscono gli indirizzi sin qui seguiti? Perché la Relazione è, o dovrebbe essere, uno strumento per i policy maker di verifica, valutazione, pianificazione delle politiche pubbliche – vale la pena di ricordarlo e sottolinearlo.

Niente di tutto ciò è presente nella Relazione, che si apre con una semplice enunciazione dei contenuti dell’Indice. Ancora una volta, nonostante gli sforzi, il documento manca il suo obiettivo istituzionale principale.

Nonostante gli sforzi, ripeto. Perché è vero che nel 2016 il Dipartimento antidroga aveva fatto interessanti aperture alla società civile, coinvolgendo il mondo dell’associazionismo nella preparazione e nella stesura della Relazione.

Non solo: aveva inaugurato un dialogo con le Ong anche su questioni politiche cruciali come il dibattito in vista dell’Assemblea Generale Onu sulle droghe, che si è svolta a New York nell’aprile scorso (Ungass 2016). Ma la tela di rapporti fra società civile e istituzioni è stata in gran parte lacerata dalla non politica, ossia dalla mancanza di trasparenza nelle scelte politiche, che si è riflessa negativamente sul carattere stesso della Relazione.

Alcuni esempi di sforzi vanificati. Le molte pagine dedicate a Ungass fanno appena menzione della consultazione delle Ong italiane in vista dell’assise di New York. Eppure l’interlocuzione col governo aveva permesso di mettere a fuoco il rapporto fra il quadro internazionale e le politiche in Italia.

Così, quando il ministro Orlando, parlando a New York, sostiene che «le condotte di minore gravità non siano da punire necessariamente con severe sanzioni penali» (p.XXXII), ci si può chiedere che cosa significhi applicare questa linea in Italia e quali modifiche legislative coinvolga. E questo era stato per l’appunto uno dei temi più discussi nella consultazione, di cui si è persa traccia nella Relazione. Come peraltro si è persa traccia delle indicazioni di riforma offerte dagli Stati Generali della Giustizia, promossi dallo stesso Ministero.

Il paradosso si tocca nella parte sulla Riduzione del danno, direttamente curata da Forum Droghe e Cnca, le due Ong che più si erano spese perché la Riduzione del danno avesse finalmente il posto che merita fra i «pilastri» delle politiche sociosanitarie in tema di droga. Ma nel testo pubblicato, il riferimento a Forum Droghe è scomparso, mentre il Cnca è stato declassato a mero rilevatore di dati sui servizi esistenti.
Ancora più grave, nella presentazione della Relazione non sono riprese e valorizzate le indicazioni operative ai policy maker: come superare i limiti storici dell’attuale offerta e introdurre nuovi indispensabili interventi, come sviluppare in maniera coerente il monitoraggio e la ricerca.

Insomma, il lettore si ritrova in mano un tomo di 489 pagine che sembra fatto apposta per non operare alcuna scelta politica sulle droghe.