L’ultima trovata di Renzi c’è stata consegnata in tv: è pronto a firmare una proposta che limiti a un massimo di due i mandati del presidente del consiglio. È davvero divertente, perché evidentemente pensa di farci un favore, e di rassicurarci con la speranza di un futuro migliore. Ma, come accade con Renzi, è pubblicità ingannevole.
Dobbiamo infatti considerare che i mandati di cui parla Renzi sono – è lecito pensarlo – coerenti con il disegno costruito con la legge costituzionale oggetto del referendum di ottobre e con l’Italicum già approvato. Quel disegno vede l’elezione sostanzialmente diretta del leader per un mandato di cinque anni. Parlare di due mandati significa prefigurare un Renzi al potere per dieci anni consecutivi.
Nessuno mai nella storia della Repubblica è stato al potere per 10 anni ininterrotti. I 7 governi De Gasperi – consecutivi, tra il luglio del 1946 e l’agosto del 1953 – assommano poco più di sette anni. Analoga durata in carica per Andreotti, con 7 governi tra il 1972 e il 1992. Moro, con 5 governi tra il dicembre 1963 e il luglio 1976, supera di poco i sei anni. Fanfani, con 6 governi tra il 1954 e il 1987, non giunge a 4 anni e due mesi. Persino Berlusconi con i suoi 4 governi ha superato di poco i 9 anni, tra il 1994 e il 2011, mentre il massimo di anni consecutivi a Palazzo Chigi non va oltre i 5 della XIV legislatura, con il II e III governo. Berlusconi 5 anni, Renzi 10. Anche in questo l’allievo vuole superare il maestro.

Seguono a distanza gli altri, tra cui nomi di peso come Craxi e Prodi. Mentre nel regime albertino supera i 10 anni al potere Giovanni Giolitti, ma con 5 governi tra il 1892 e il 1921. Depretis, con ben 9 governi, non raggiunge gli 8 anni e 3 mesi tra il marzo 1876 e l’aprile 1887. In realtà, in tutta la storia dell’Italia unita, c’è uno solo che raggiunge i 10 anni consecutivi al potere, ed anzi li raddoppia: si chiama Benito Mussolini, dall’ottobre 1922 al luglio 1943.
Possiamo anche dire che l’ultimo è fuori quota, perché è una storia a parte. Ma per quanto riguarda gli altri il decennio renziano avrebbe un tratto assolutamente distintivo. Sarebbe infatti il solo ad accompagnarsi a una maggioranza blindata di ben 340 seggi nella camera politica, la sola decisiva per la permanenza in carica del premier. Una maggioranza che controlla le conferenze dei capigruppo e decide il voto a data certa, garantendo all’esecutivo il dominio sull’agenda parlamentare. Un bonus aggiuntivo è dato dall’esclusione dall’assemblea di fastidiose minoranze vocianti e antagoniste, che la soglia di accesso posta dall’Italicum, anche se solo al 3%, può filtrare con efficacia. Comunque, la maggioranza garantita di 340 rende il rapporto fiduciario tra parlamento e governo una mera formalità; svuota nei fatti il potere del Capo dello stato di nominare il premier, per l’impossibilità di scegliere un altro rispetto a chi è eletto con quella maggioranza; rimette sostanzialmente nelle mani dello stesso premier il potere di scioglimento anticipato, potendo con le sue dimissioni determinare una impossibilità di funzionamento per l’inesistenza di una maggioranza alternativa. Inoltre, nel decennio prefigurato da Renzi il leader dei 340 è certo di poter sostanzialmente decidere la elezione di almeno un Capo di stato (7 anni di mandato), di almeno tre giudici della Corte costituzionale (mandato di 9 anni), e dei componenti laici del Csm per due turni successivi (mandato di 4 anni). Un decennio di potere inscalfibile e inattaccabile. Anche questo non è mai accaduto nella storia d’Italia dall’unità in poi, salvo il ventennio.
Si aggiunga ancora che nel mondo di Renzi il premier è al tempo stesso segretario del partito-minoranza che l’Italicum traduce in maggioranza parlamentare blindata. Niente ci autorizza a pensare che Renzi voglia in futuro scindere le due cariche. Al contrario, è del tutto evidente che la simultanea titolarità è centrale nel disegno renziano. È infatti ovvio che le liste dei candidati sono controllate e governate dal segretario del partito, e non dal presidente del consiglio. È appunto il segretario che in ultima istanza sceglie i 100 capilista eletti a voto bloccato, e gestisce le liste (corte) previste dalla legge assicurandosi l’elezione di candidati verificati e graditi. Con qualche inevitabile eccezione, i 340 saranno saldamente fedeli al premier e costituiranno la pietra angolare del suo potere.

Non a caso per l’antica saggezza Dc al segretario del partito doveva rimanere preclusa la presidenza del consiglio. Lo scivolamento verso un pericoloso potere personale faceva temere per la vita interna del partito e la stessa democrazia. E proprio la abnorme concentrazione del potere può far temere come realistica la prospettiva di un secondo mandato.
Il paragone con la longevità di altri leaders nei paesi democratici è improprio. Il quanto si rimane nelle stanze dei bottoni deve essere valutato insieme a quanti e quali bottoni si controllano. Abbiamo perso il conto degli anni di Elisabetta regina, che però – come dicono i costituzionalisti britannici – regna ma non governa. Nel decennio renziano, troppi bottoni, troppo a lungo. Se il premier vuole farci felici, ponga il limite di un solo mandato. Nell’Italia di Renzi, cinque anni di Renzi sono più che abbastanza.