Il fantasma di Dylan Thomas si aggira, inquieto e solitario, per le strade di Catania, chiuso in una vecchia valigia di cuoio, zeppa di lettere e segreti. Dentro ci sono foto, nomi, appunti e poesie, una missiva scritta di pugno dall’allora presidente Jimmy Carter e un enigmatico codice che rimanda ad un dossier top secret. Li ha raccolti e custoditi Francesco Fazio, figlio di Caitlin Macnamara, moglie di Thomas, il bardo più celebre della letteratura contemporanea inglese che ha influenzato cantanti, scrittori e artisti del calibro di John Lennon, De André, Tiziano Sclavi e di un certo Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan, che scelse quel nome in onore proprio di Dylan Thomas.

IL MISTERO

La scomparsa prematura di Thomas, morto a soli 39 anni, ancora oggi, rimane un mistero. Chi o cosa ha ucciso il poeta più celebre del XX secolo? Sbronze e sigarette o l’invidia di un giovane e rampante «collega»?

La vedova Thomas non aveva dubbi. Così, 63 anni dopo la sua morte, Francesco Fazio, unico erede di Thomas – nato dal matrimonio di Caitlin Macnamara con il regista catanese Giuseppe Fazio – decide per la prima volta di aprire quel bagaglio e svelare in esclusiva a il manifesto i dubbi che attanagliavano l’esistenza di sua madre, sollevando più di un sospetto sulle cause della morte del poeta.

A partire dal giorno del «presunto» decesso. Quel 9 novembre che non mette d’accordo biografi ed esperti. Che non convinceva nemmeno la moglie Caitlin, lei che in lacrime davanti alla salma del marito disse: «Questo non è il mio Dylan».

Era il 1953 e da qualche tempo Thomas (nato a Swansea in Galles) risiedeva a New York, dove contava di racimolare un po’ di quattrini accettando di leggere le sue poesie in giro per gli States. La storia ufficiale racconta di un poeta soffocato dal whiskey e da una strana cappa di smog che in quei giorni opprimeva la Grande Mela.

Imbottito di farmaci e alcol, Thomas trascorreva il tempo chiuso tra le quattro mura della stanza numero 205 del celebre Chelsea Hotel, storico rifugio di altri geni maledetti come Charles Bukowsky e Janis Joplin.

A distanza di oltre 60 anni, non è ancora chiaro se ad ucciderlo furono i problemi respiratori aggravatisi negli ultimi giorni o la negligenza più o meno volontaria di alcuni oscuri personaggi che in quel tempo ruotavano attorno alla vita del poeta. Quando arrivò in ospedale, Thomas era già in coma.

Per le autorità morì il 9 novembre del 1953. «Una polmonite», dissero i medici, «o forse il fegato che non aveva retto l’alcol». Poco importa. Dylan Thomas non c’era più. Il resto non contava.

CHI LO UCCISE?

Francesco Fazio vuole far luce su quel mistero. In quella valigia di cuoio, imbottita di immagini e documenti, ha conservato tutto. Le foto di Caitlin e Dylan, le poesie che sua madre dedicò alla Sicilia, fogli ingialliti con su scritti appunti e nomi. Come quello di Milton Felteinstein, il misterioso medico che ai primi di novembre del 53’ iniettò al poeta una robusta dose di morfina. Così robusta che in tanti ritennero fatale.

O Elizabeth Reitell, segretaria e amante di Thomas. Lei che stette accanto a Thomas in quei drammatici, ultimi giorni del poeta prima di sparire nel nulla.

Ma l’indiziato numero uno è senza dubbio il suo agente americano, il poeta John Brinnin. A lui, David N. Thomas, autore del romanzo Who killed Dylan Thomas? dedicherà interi capitoli. «John Brinnin è conosciuto per tante cose – scrive David Thomas – Eppure, è riuscito a non farsi mai conoscere come l’uomo che spedì un famoso poeta a una morte evitabile e che grazie a questo riuscì a metter su una montagna di soldi».

Fazio vuole delle risposte. Da chi è ancora in vita. Da chi ricorda quel dannato novembre che rovinò l’esistenza di sua madre Caitlin. «Dopo che mia madre non riconobbe Dylan in quel letto d’ospedale – racconta Fazio – in preda al dolore, divenne incontrollabile. Dissero che aggredì Brinnin come pretesto per rinchiuderla in manicomio».

Dopo quella sfuriata, Caitlin fu infatti portata nell’ospedale psichiatrico di River Crest a New York e rinchiusa per dieci giorni. Il certificato di detenzione portava, guarda caso, la firma del dottor Feltenstein.

I GUANTI BIANCHI

E ancora Fazio solleva i mille interrogativi legati alle misteriose circostanze in cui venne effettuata l’autopsia sul cadavere di Thomas. «Perché Dylan è stato sottoposto a un processo d’imbalsamazione? E perché se il cadavere è stato imbalsamato non è stato esposto al pubblico?», si domanda il figlio di Caitlin Thomas, che oggi vive a Catania, luogo dove la madre, ballerina, poetessa ed esperta di equitazione, dopo la morte del marito, ha deciso di trascorrere gran parte della sua vita con il regista siciliano Giuseppe Fazio da cui nacque Francesco. «Perché gli sono state nascoste le mani con dei guanti bianchi? E perché al tempo stesso gli è stata posizionata sul viso la maschera di ferro come a William Shakespeare senza nemmeno consultare la vedova?».

LA MASCHERA DI FERRO

Già, la maschera. David Slivka, scultore americano, in una conferenza tenuta in Galles nel 2001, raccontò i dettagli di quell’opera da lui stesso realizzata «in gran segreto».

«Fu un’esperienza surreale – disse Slivka – ricordo che prendemmo le misure sul corpo nudo di Thomas. Il Chelsea Hotel gli aveva sequestrato i vestiti dopo la sua morte e non vollero restituirli». E ancora, nessuna analisi del sangue, non sono citate le cicatrici che Dylan aveva sui polsi e nessun esame del Dna.

«Oggi ci sono persone ancora vive che sanno – dice Fazio – ed è venuto il momento di raccontare a tutti la verità». La verità su un uomo a suo modo scomodo in un’America travolta dalla Guerra Fredda.

Thomas frequentava comunisti, socialisti ed anarchici. Condivideva con loro il vino, ma soprattutto le idee. Dopo la sua morte, la salma fu trasferita dal molo di New York a Southampton in Inghilterra con la nave americana S.S. United States, con Caitlin costretta a viaggiare dentro la stiva e con camicia di forza.

Ad attestare quella terribile esperienza, il manifesto è in possesso in un documento sulla lista di passeggeri dell’imbarcazione che trasportava il feretro di Thomas e dove spunta il nome della Macnamara.

Ad attenderne l’arrivo in porto non c’erano giornalisti, né fotografi. «Strano trattamento per uno dei più celebri poeti della letteratura inglese», commenta Fazio.

Tanti gli assenti nel giorno del suo funerale. Su tutti, il solito, misterioso John Brinnin che preferì rimanere a New York.

Già, sempre lui, Brinnin. È lui infatti l’indiziato numero uno, lui che da tempo era a conoscenza delle condizioni di salute del poeta e che non aveva mosso un dito per aiutarlo.

«Mia madre Caitlin lo sapeva bene – racconta Fazio – sapeva che dietro la morte c’era la mano di Brinnin». Lui, Brinnin, che da tempo scherzava ambiguamente su come avrebbe voluto sbarazzarsi di Thomas, invidioso della sua fama che ostacolava la sua carriera di scrittore rampante. Che Brinnin abbia in qualche modo sperato se non addirittura complottato per lasciarlo morire, è una ipotesi che in tanti, studiosi e storiografi, non sentono di escludere. A partire dal rapporto tra il dottor Feltenstein, sospettato di aver iniettato nel sangue del poeta una dose fatale di morfina, e lo stesso Brinnin. I due, infatti, si conoscevano molto bene.

Di «negligenza medica» parlerà in una lettera l’allora presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter indirizzata allo stesso Fazio dopo la morte della madre Caitlin e pubblicata per la prima volta in esclusiva su il manifesto. «Mi ringraziava perché gli avevo spedito il libro Double Drink Story, scritto da Caitlin, e mi chiedeva di non essere severo nei miei commenti sulla morte di Dylan».

Eppure tra i fascicoli segreti del governo inglese, raccolti sul sito internet degli archivi di stato, il manifesto ha scovato un dossier segreto intitolato a Thomas Dylan Marlais, ad oggi mai menzionato. Il numero di riferimento è IR 59/918. Il contenuto è top secret e lo sarà fino al primo gennaio 2036 quando verrà desecretato e reso ispezionabile al pubblico.

«Mia madre sapeva c’erano cose che non era tenuta a conoscere sulla morte di suo marito – racconta Fazio – Lo aveva scritto su un bigliettino pochi giorni prima di morire: Niente non è percepibile, niente non è intenzionale, tutto è inevitabile».

IL FILM MAI FATTO

«Voleva che fosse il suo epitaffio – continua – ma i miei fratelli, sotto pressioni esterne, non vollero farlo incidere perché mi dissero che toglieva luce all’immagine di Dylan».

Da quando sua madre, a luglio di tredici anni fa, si è spenta a Catania, Francesco ha sempre continuato a cercare. E ha persino rifiutato un contratto milionario dalla casa cinematografica di Mick Jagger dei Rolling Stones interessato a girare un film sulla vita di Thomas. «Ho detto di no perché non mi facevano prendere visione della sceneggiatura e non potevo svilire l’immagine di mia madre».

Francesco intanto continua a scavare. Il suo sogno è quello di riportare la salma di sua madre a Catania. «Qui, ai piedi del vulcano, dove mi insegnò a ballare. E io le insegnai a nuotare. Qui dove si chiacchierava sulla nostra vita e ci si confrontava sulla poesia. Qui a Catania, in riva al mare, dove mia madre Caitlin contemplava il fantasma di DylanThomas».