Carlo Freccero, il renzismo guascone e tutto sommato bonaccione dei ’gufi’ e dei ’rosiconi’ ora sembra cambiare passo: allusioni pesanti sulla Cgil, manganelli sugli operai di Terni.

Sono meravigliato. Sin qui mi colpiva la differenza fra Renzi e Berlusconi a proposito del rapporto con la minoranza. Con Berlusconi nel nostro immaginario si instaura l’equazione fra democrazia diretta e dittatura della maggioranza. Per Berlusconi però la minoranza restava un corpo estraneo, privo di diritti, non riassorbibile: la sua era la lotta del Bene contro il Male. Renzi invece è inclusivo; per lui le minoranze sono recuperabili, possono sempre cambiare idea e unirsi a lui. Anzi, meglio: nel Pd anche le minoranze fanno numero, fanno quantità. Lui è figlio degli anni 80: quelli in cui il sondaggio prende il posto dell’ideologia, l’audience diventa il meccanismo unico di selezione. La maggioranza si traduce in grafici. E a loro volta quelli della minoranza sanno che se restano nel Pd conservano il diritto di parola nei media e nel partito. Se uscissero, per loro sarebbe afasia e impotenza. E invece questo nervosismo, questa incazzatura indica per la prima volta che la fase espansionistica di Renzi sta finendo. Come in Borsa: quando sei al massimo sai che devi vendere, oltre non si può andare. In questi grafici però sta la rappresentazione di un’estrema volatilità. E la sicurezza diventa tracotanza.

Perché volatilità? Come si dice, il renzismo ha i secoli contati?

In un’ottica solo quantitativa c’è il rischio sempre di un improvviso rovescio. E la crisi rischia di far cambiare tutto velocemente. Lui ha l’ansia della contemporaneità, iPhone contro gettone. Ma non si deve fermare mai. Non può.

Renzi come Apple, deve produrre sempre un iPhone nuovo?

Sì. Ma deve stare attento, le cose cambiano veloci. L’ultima Leopolda mi ha ricordato quei meeting aziendali che servono a motivare un gruppo, soprattutto quando la situazione non è buona. Come nel film Tutta la vita davanti: i lavoratori di un call center si motivavano l’un l’altro celebrando i propri successi. Nella prima Leopolda di governo sembrava che tutti calcassero i toni per farsi coraggio. Anche perché è vero che sta vincendo, ma intorno a Renzi crescono piazze che si oppongono, che intralciano la sua contemporaneità digitale. Non solo quella dei sindacati, e quella di Grillo, ma la piazza lepenista, nera e crescente della Lega. Renzi dice: attenti a non mettere il rullino nella macchina digitale. Ma la destra non ha il problema della contemporaneità.

L’opposizione fra contemporaneità e passato appassiona la sinistra, ma nella destra non funziona?

Renzi è il centro, la Boschi l’ha detto benissimo: fanfanismo digitale. Geniale. Può vincere a sinistra. Ma a destra no.

Per D’Alema Renzi vuole spaccare il paese.

Con Renzi finisce l’ambiguità. Alla sinistra è successo quello che in questi anni è successo a tutte le nostre istituzioni: apparentemente sono rimaste invariate ma in realtà hanno cambiato significato. Renzi ha fatto un’operazione di verità, bisogna dargliene atto. In un mondo in cui ha vinto il capitalismo finanziario, la sinistra di Renzi difende il lavoro, nel senso di creazione di lavoro, Maurizio Landini il lavoro come diritti. Due cose diverse.

Se Renzi ha tolto il velo dell’ipocrisia a sinistra, non c’è ’mutazione genetica’ del Pd, quella che scandalizza le sinistre.

La forza di Renzi sta nell’abolire i corpi intermedi, le mediazioni. Comunicare tramite social network, fare la politica senza partito. Deve escludere gli intellettuali: tutto quello che è articolazione dev’essere cancellato. In questo è come la destra. Però deve capire che il partito è il luogo dell’elaborazione del programma, della dialettica maggioranza-minoranza. Lui invece va avanti senza mai mettersi in discussione. Ne fa sempre una questione di quantità: alla Leopolda ha detto di aver affrontato la Merkel da una posizione di forza: ’noi siamo più forti di voi’. Però, ripeto, in questa formidabile macchina per creare maggioranza, qualcosa comincia a rallentare. In un discorso che ammette solo la crescita quantitativa, se si ferma qualcosa tutto finisce.

Per ora vince sempre lui.

Ma deve sempre rilanciare. Per lui è come al casinò: ogni volta deve giocarsi tutto. È competitivo, ma deve offrire gli 80 euro, che si sono infatti già moltiplicati due volte. E non so se ci sia spazio per altre moltiplicazioni di pani, pesci e euro. A un certo punto la complessità prenderà il sopravvento, e il rischio è che prenda piede il semplicismo, l’anacronismo, ovvero la destra. Anche Grillo fa l’occhiolino a destra ormai. Noi siamo accecati dal presente, dalla dialettica fra le due sinistre, e non vediamo che la destra avanza.

Renzi dice di non temere la scissione, chi esce dal Pd finisce a fare il 4 per cento.

Si capisce. Anche perché lui ha la comunicazione sotto controllo.

Ma lo spazio a sinistra secondo lei c’è davvero?

Per ora è minimo.

Per occupare quello spazio la sinistra cosa dovrebbe fare?

Bella domanda. Osservo che oggi si vince sulle battaglie territoriali. Lì la sinistra può tornare a vincere. Il dibattito teorico c’è, ma non ha presa sulla gente. Guarda Landini: emerge ed è credibile perché fa vertenze precise. La sua faccia passa per esperienze concrete. Anche sui diritti, non passa la sua teoria, ma la sua pratica, la sua pratica sindacale. La sinistra è ridotta al fare. Al posto di Sartre c’è Steve Jobs.

Quella delle battaglie locali e delle vertenze era il Grillo degli inizi. Ma la sinistra non riesce a trovare un leader.

Forse sarà un vantaggio sulla lunga distanza, ma oggi per questo non riesce a bucare il discorso unico.

La politica in questo momento ’funziona’ poco: i giornali perdono lettori, i talk politici crollano. Renzi invece tira su gli ascolti in tv.

E questo si capisce: la tv funziona così. Renzi fa un racconto consolatorio, una storia a lieto fine, come una soap opera. Come Un’altra vita, la serie di Raiuno con la Incontrada: tranquillizza, c’è la crisi e la gente non vuole essere angosciata. Ma Renzi deve sempre dire ’ dai che ce la facciamo, siamo lì lì per farcela’. Se fa l’incazzato non funziona più.

Insomma, Renzi ridà speranza?

Ma mi stupisco della domanda: oggi tutti i governi hanno questa funzione. Sono porta-parola di poteri oscuri, incomprensibili, che stanno altrove. Fanno trattati segreti, di cui non non possiamo sapere niente.

Sta dicendo anche lei che Renzi è stato messo lì dai poteri forti, come ha detto Camusso?

Detta così è banale. Oggi il potere è relazione. E il politico ha il compito di tranquillizzare, infondere fiducia. Come le monarchie di una volta.