Ciao Mario. Un grande fotografo (con la Leica), un grande uomo, un amico raffinato, che ha attraversato la storia mantenendo sempre una lucidità invidiabile. Mario Dondero, classe 1928, si è spento dopo una lunga malattia che aveva debilitato il suo corpo (e il suo sguardo) da leone.

Partigiano nella Val d’Ossola da giovane, poi cronista, infine super testimone con la fotografia (“mi ero stufato di chiedere sempre in giro a qualche reporter di venire con me”), ha documentato il mondo a modo suo: la società, l’Italia scomparsa, la politica bella e quella corrotta, il ’68 e i suoi sogni, le rivoluzioni ma anche il fascino dei volti degli scrittori del Nouveau Roman, la vita privata e quella da regista di Pasolini…

Per il manifesto, una delle ultime testimonianze: una pagina che raccontava – attraverso la sua memoria e la vita condivisa – la storia della satira e della rivista Charlie Hebdo.

Il vagabondo smaliziato

Angelo Mastrandrea, Alias, 16 maggio 2015

Marco Cruciani lo ha seguito per cinque anni in giro per reportage e per mostre, incontri e scorribande sui luoghi natii e della gioventù partigiana mai dimenticata, e ne ha tratto un documentario lungo per il suo genere (due ore e dieci minuti), ma necessario per dar conto di un’esperienza umana densa come altre mai qual è stata quella di questo straordinario fotoreporter bohemien, giornalista flâneur, affabulatore da osteria, partigiano delle cause migliori, indefesso viveur «inafferrabile e ubiquo», come lo definisce Ermanno Rea che ha condiviso con lui un pezzo di esistenza, avvistato nei luoghi topici della cultura del Ventesimo secolo, fossero essi una redazione giornalistica, un cenacolo intellettuale o un altro luogo deputato alla convivialità.

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Ritratto da Elisa Dondero
Ritratto da Elisa Dondero

Mario Dondero, un reporter ad alta tensione

Angelo Ferracuti, il manifesto, 18 dicembre 2014

La cosa bella quando stai con Mario è che può accadere di tutto, senti come se la vita accelerasse grazie alla sua fortissima curiosità, all’umanità spinta fino all’inverosimile, e volesse forzare in modo anarchico tutte le convenzioni, soprattutto quelle pratiche della routine quotidiana, dalle ore del giorno e della notte agli spazi che dividono le rotte e i viaggi, le loro prevedibili traiettorie, per entrare con tutti i sensi dentro l’esperienza che sta compiendo, che non è solo fatta di tensione politica e creativa, ma sprigiona la cosa che giustamente a lui interessa di più, cioè vivere febbrilmente ad alta tensione.

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Foto di Mario Dondero
Foto di Mario Dondero

 

Mario e quelle sere a Charlie Hebdo, creatività e buon alcool

Mario Dondero, il manifesto, 10 gennaio 2015

Il collante che teneva insieme i redattori di Charlie Hebdo era la passione per l’ironia e la dissacrazione, oltre a una straordinaria unità di intenti. Fu un italiano, il milanese Staletti, che rappresentava in Italia alcuni importanti disegnatori francesi, a introdurmi in quel luogo speciale che era la redazione di Charlie Hebdo. Si era agli inizi degli anni settanta e Charlie esercitava già da tempo, attraverso le vignette e gli scritti dei suoi redattori, la sua acuta critica dei costumi e della politica francesi. Non credo sia mai esistita una comunità di giornalisti altrettanto conviviali.

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Il reporter non può essere servile

Arianna Di Genova, il manifesto, 9 luglio 2014

I fotografi del Paris Match, negli anni Cinquanta, giravano con auto sportive, belle ragazze e portavano tutti degli impermeabili inglesi. Li riconoscevi dall’aspetto e poi dagli scatti: famiglie reali, star del cinema, matrimoni importanti. Erano abili, «non usavano mai il flash» e, soprattutto, disponendo di molti più soldi erano generosi con i colleghi che percorrevano le strade di Parigi, magari con le tasche vuote. Quelli che, come Mario Dondero, affondavano l’obiettivo fra le pieghe di un’altra realtà.

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