Il Mullah Omar è morto. Il leader dei Talebani, l’uomo che ha guidato l’Emirato islamico d’Afghanistan dal 1996 al 2001 e, poi, la guerriglia anti-governativa e anti-occidentale non c’è più. Gli studenti coranici perdono la loro guida.

Il jihad afghano perde l’uomo-simbolo, colui che ha saputo trasformare degli studenti coranici con i sandali impolverati in ambasciatori e ministri, coccolati dai servizi segreti regionali e demonizzati dagli Stati uniti.

«Confermiamo ufficialmente che è morto», ha dichiarato ieri all’agenzia Associated Press Abdul Hassib Seddiqi, portavoce dei servizi di sicurezza afghani, la National Directorate of Security. Dall’Arg, il palazzo di Kabul dove risiede il presidente Ashraf Ghani, nel tardo pomeriggio è arrivata un’ulteriore conferma: mullah Omar è morto nell’aprile 2013, in Pakistan, probabilmente in una clinica di Karachi. La conferma non è definitiva, ma rimane fondamentale, perché mai prima d’ora il governo di Kabul aveva arrischiato dichiarazioni simili. Al di là dell’incertezza sulla sua morte fisica, rimane comunque la certezza della sua morte politica: mullah Omar non è più il leader indiscusso dei turbanti neri.

La corsa al rimpiazzo è in atto da mesi.«Nessuno sa dove sia il mullah Omar, cosa faccia, cosa pensi. Si parla apertamente di convocare un gran consiglio, per verificare se sia in grado o meno di esercitare la leadership. Se sia vivo o morto», ci aveva detto a Kabul già lo scorso novembre Antonio Giustozzi, il più autorevole studioso del movimento talebano. Sarebbero almeno tre gli incontri preliminari avvenuti in Pakistan (due a Quetta, uno a Peshawar) per decidere i criteri di elezione del nuovo leader.

A partecipare, i rappresentanti delle tre principali shure (consigli) intorno alle quali è organizzata la guerriglia: la shura di Quetta, quella di Peshawar e la Miran Shah Shura (il gruppo degli Haaqani). Per ora, si discute ancora sui criteri di elezione. Ma presto si dovrà arrivare a una decisione vera e propria.

A meno di non voler rischiare l’ulteriore frammentazione di un movimento già piuttosto diviso, soprattutto sul tema dei negoziati di pace (vedi articolo a fianco, ndr).

Quel che è certo, è che sarà difficile rimpiazzare mullah Omar. Il leader che ha fatto dell’evanescenza un tratto di forza, e la cui storia è avvolta dal mistero, sin dall’inizio. Sull’anno della nascita, infatti, non c’è certezza: per Steve Coll (La guerra segreta della Cia) è il 1950, per Ahmed Rashid (Talebani) il 1959, per mullah Abdul Salam Zaeef, ambasciatore talebano a Islamabad e autore di My Life with the Taliban (Hurst 2010), è il 1962. Per i Talebani, che lo scorso aprile hanno reso pubblica una sua biografia, sarebbe il 1960. Omar cresce in una famiglia povera.

Con l’inizio della resistenza all’occupazione sovietica, si unisce a uno dei fronti dei mujaheddin legati alle madrase (scuole coraniche), diretto da Mohammad Yunus Khalis, tra i primi a portare in Afghanistan il pensiero del teorico egiziano Sayyid Qutb, padre dell’islamismo politico contemporaneo. Diventa comandante delle operazioni militari nel villaggio di Sangesar. Proprio qui perde l’occhio destro. Quando i sovietici si ritirano dall’Afghanistan, Omar torna alla vita ordinaria. Ma la guerra civile impazza tra le fazioni di mujaheddin.

La popolazione è terrorizzata. Una sera del 1994 alcuni studenti coranici ex combattenti bussano alla porta di mullah Omar. Propongono che sia lui il leader del nuovo movimento. Accetta.

Intendono riportare l’ordine nella zona occidentale di Kandahar, infestata da gang criminali. Ma l’avanzata è irresistibile. Dopo Kandahar i Talebani conquistano le province di Zabul, Helmand, Uruzgan, nel settembre 1995 Herat e in quello successivo Kabul. Nell’ottobre 1997 l’Afghanistan diventa l’Emirato islamico d’Afghanistan. Ma l’anno fondamentale è il 1996. Ad aprile, a Kandahar viene organizzato un incontro di tre giorni con 1.500 leader religiosi.

Mullah Omar indossa un mantello appartenuto al profeta Maometto e viene investito del titolo di Amir ul-Momineen, la «Guida dei fedeli». Il mese successivo, Osama bin Laden viene cacciato dal Sudan. Arriva a Jalalabad. Conquistata la città, i barbuti si ritrovano tra le mani un «ospite speciale». I rapporti non sono facili. Bin Laden riconosce l’autorità religiosa di mullah Omar, ma porta avanti un’agenda personale, spesso contro le sue direttive.

Poi arriva l’11 settembre. Omar decide di tenersi l’ospite ingrato. I B-52 americani sganciano le prime bombe. L’Emirato islamico d’Afghanistan viene spazzato via. Mullah Omar scappa in Pakistan. Lì dove sarebbe morto, secondo quanto dichiarato ieri dai portavoce del governo di Kabul.