A volte può anche capitare di entusiasmarsi davanti a un cancello di ferro alto due metri e protetto da filo spinato. A Khalid è successo ieri. «Se sono felice? Si, sono molto felice» ammette con il sorriso sulle labbra mentre si carica lo zaino sulle spalle. Khalid ha 25 anni e viene da Homs, in Siria. Otto giorni fa è partito dalla Turchia e adesso spera di arrivare in Germania.

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Il cancello al passaggio di frontiera del villaggio di Idomeni (foto Stefano Montesi)

 

 

 

 

Con lui c’è Ibrahim, un anno più grande. È di Aleppo, da dove è fuggito con la moglie e la figlioletta. «Aleppo ormai non esiste più, è una città rasa al suolo», racconta mentre la bambina gli gironzola tra le gambe. «Manca l’acqua, non c’è da mangiare e ogni giorno gli aerei russi la bombardano». Anche lui, come Khalid, ora vuole solo una cosa: arrivare in Germania il più presto possibile e mettere al sicuro la sua famiglia.

Per Khalid, per Ibrahim e per il gruppo di giovani siriani con cui viaggiano questo è un giorno fortunato. Loro infatti ce l’hanno fatta e possono finalmente attraversare quel cancello protetto dal filo spinato che segna il confine tra Grecia e Macedonia.

La tentazione del passeur

Di qua c’è Idomeni, ultimo avamposto greco e passaggio obbligato per chiunque voglia raggiungere l’Austria e la Germania. Di là c’è Gevgelija e la rotta balcanica che porta a nord. Ad aspettare il loro turno nel campo organizzato dall’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, e da Medici senza Frontiere ci sono circa 900 persone tra uomini, donne e bambini.

Cartelli in arabo, francese e inglese indicano dove è possibile trovare assistenza medica gratuita, acqua potabile, bagni e docce. Numerose tendine verdi, dove trovano posto al massimo tre persone, sono sparse tutte intorno mentre all’interno di grandi tende bianche sono stati allestiti dormitori con decine di letti a castello. Si distribuiscono abiti puliti e caldi (un mese fa la temperatura è scesa a -11 gradi), ma anche consigli su come fare richiesta di asilo o entrare nel programma di ricollocamento. Un’offerta per la verità scelta da pochi perché è probabile che si debbano aspettare mesi prima di avere una destinazione, ma anche perché non è possibile scegliere il Paese in cui andare. La frontiera invece è là, a poche decine di metri ed è impossibile per chiunque resistere alla tentazione di varcarla.

Le autorità macedoni fanno partire cento profughi ogni ora e solo se di nazionalità irachena, siriana e afghana, Superato il primo ostacolo devono camminare in fila per circa 500 metri in una sorta di terra di nessuno lungo una strada sterrata e circondata da sterpaglie finché non arrivano a un nuovo cancello che segna l’ingresso vero e proprio nella Repubblica macedone. Prima però bisogna aspettare che venga chiamato il proprio numero seduti su panche di ferro allineate sotto un tendone. Una volta in Macedonia, i profughi vengono fatti salire su treni organizzati dal governo di Skopje. «Official prize list», avverte l’ennesimo cartello: i bambini sotto i 10 anni viaggiano gratis, tutti gli altri invece se vogliono raggiungere il confine con la Serbia, distante meno di 200 chilometri, devono comprare un biglietto che costa 25 euro.

È una decisione presa solo di recente da Skopje e che ha fatto infuriare i tassisti macedoni, che pure volevano la loro fetta di guadagno da tanta disperazione.

Loro non possono entrare

Chi invece non viene fatto passare sono i marocchini, i tunisini e tutti gli altri identificati come migranti economici e per questo respinti. Loro possono solo tornare ad Atene o tentare di passare clandestinamente il confine pagando una dei tanti passeur che aspettano i clienti comodamente seduti nella hall di un albergo non distante dal confine.

Paradossalmente il giorno in cui Schengen finirà, a rappresentare il confine meridionale dell’Europa, l’ultima sua frontiera, sarà proprio la Macedonia, un Paese che ancora non fa parte dell’Unione europea. Che il giro di vite sia ormai pronto qui a «quota 59», come viene chiamato il valico di Idomeni, lo sanno tutti. «Il problema non è se, ma quando», spiegano gli operatori dell’Unhcr, convinti che una nuova emergenza sia solo questione di tempo.

I segnali che per Atene il conto alla rovescia sia ormai cominciato ci sono tutti. Proprio in questi giorni soldati macedoni hanno cominciato la costruzione di una seconda barriera, dopo quella innalzata a novembre, al confine con la Grecia. Ancora reti metalliche e filo spinato per fermare possibili nuove ondate di rifugiati. Come se non bastasse, Slovenia e Bulgaria si sono offerte di inviare uomini e mezzi per aiutare la Macedonia nel controllo dei suoi confini. Offerta accettata dal governo macedone, ma che non dispiacerebbe né alla cancelliera Merkel né al presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker.

Si tratta, ha spiegato due giorni fa il premier sloveno Miroslav Cerar, di «rafforzare la seconda linea di Schengen» lasciando così intendere di considerare la prima linea – la frontiera tra Grecia e Turchia – ormai persa.

Hotspot della discordia

Anche se ultimamente Bruxelles sembra usare toni meno duri nei confronti del governo Tsipras, più volte accusato di non aver mantenuto gli impegni presi per quanto riguarda la creazione di cinque hotspot (finora ne è stato aperto uno solo, a Lesbo, anche se ci sarebbero novità in arrivo), la Grecia è sotto stretta osservazione e il vertice del prossimo 18 febbraio potrebbe deciderne le sorti. Se non proprio una Grexit, come si temeva esattamente un anno fa come conseguenza della crisi economica, Atene potrebbe ritrovarsi tagliata fuori dal resto dell’Europa e trasformata in una sorta di deposito per decine di migliaia di rifugiati. Anche questo a Idomeni lo sanno tutti e ci si prepara a correre ai ripari prima che sia troppo tardi. Venti chilometri prima del confine, a Polikastro, c’è una stazione di benzina dove la polizia greca fa fermare i pullman che ogni giorno portano al confine centinaia di profughi.

L’intera area è diventata da mesi una specie di grande tendopoli con più di 2.000 migranti aiutati oltre che dall’Unhcr anche da ong arrivate da tutta Europa. Qui Medici senza frontiere ha allestito diverse tende e fornisce assistenza medica, ma anche pasti caldi e aiuto psicologico.

A colpire è il gran numero di bambini di ogni età che riescono a giocare e sorridere anche in queste condizioni. Si fanno largo tra i fuochi accesi dentro bidoni di latta con cui ci si riscalda e si asciugano i vestiti, camminano tranquilli tenendo la mano a mamme in fila davanti ai volontari di una ong danese che distribuiscono pannolini e calze di lana. In un campo situato dietro la stazione di benzina nelle prossime due settimane l’Unhcr allestirà un villaggio di 300 casette per un programma di Rhu, Refugee housing unit, fornite gratuitamente dall’Ikea e in grado di ospitare fino a 3.000 persone.

Ci saranno docce e bagni ma anche un’area protetta, separata dal resto delle casette, dove ospitare donne sole, spesso vittime di violenza, donne con bambini o incinta. Un progetto che gli operatori dell’Unhcr vogliono concludere quanto prima, proprio in previsione di quanto potrebbe accadere nelle prossime settimane, quando per migliaia, forse decine di migliaia di rifugiati il confine sarà definitivamente chiuso. In fretta, perché il conto alla rovescia, per Schengen e per la Grecia, potrebbe essere davvero già cominciato.

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Una tenda dell’Unhcr a Idomeni (foto Stefano Montesi)