«Anziché passare il tempo a inventarsi ragioni per fare scioperi, mi preoccupo di creare posti di lavoro perché c’è ancora tantissimo da fare». Invece del dialogo con i sindacati, Matteo Renzi continua ad attaccarli. E ieri, di prima mattina scegliendo la radio, non ha lesinato frecciate provocatorie. «Ci sono stati più scioperi in queste settimane che contro tutti gli altri governi. Ma il governo sta cercando di mettere in piedi tutte le azioni necessarie per far ripartire il lavoro», dice citando i 153mila posti creati dimenticando quelli persi nello stesso lasso di tempo che dimezzano il saldo positivo, portandolo a quota 70mila.
A rispondergli a stretto giro da Bologna è Susanna Camusso, definita dal premier «con Salvini l’altra faccia della medaglia dei leader della protesta». «Il problema ormai sempre più evidente del presidente del Consiglio è che lui dialoga solo con chi gli dà ragione e non si pone invece il problema che se i lavoratori hanno riempito la piazza il 25 ottobre a Roma, e se continua la mobilitazione forse bisognerebbe ascoltare le ragioni di quel disagio nel mondo del lavoro e dare risposte positive». «Vorremo che il dibattito nel Paese tornasse a essere rispettoso: dire che i lavoratori sciopereranno perché così i sindacalisti hanno modo di passare il tempo, è irrispettoso per il lavoro e per il sacrificio dei lavoratori», ha poi ribadito la segretaria generale della Cgil, annunciando che lo sciopero del 12 dicembre si chiuderà a Milano con una commemorazione del 45esimo anniversario della strage di Piazza Fontana.

Dal congresso della Uil il neo segretario in pectore Carmelo Barbagallo usa parole non molto differenti per rispondere a Renzi: «Non c’è niente da inventare, magari inventassimo cose che servono per il benessere del Paese. Le motivazioni per lo sciopero generale ci sono tutte, abbiamo esperito tutti i tentativi per avere risposte sui pensionati, sul pubblico impiego, sulla legge di stabilità e sul Jobs act», ha detto Barbagallo.
La seconda giornata del congresso Uil è stata poi la prima prova del fuoco per Annamaria Furlan. Salire sul palco da neo segretaria Cisl per spiegare agli «amici» della Uil perché non aderisce allo sciopero generale. Una prova non semplice che l’erede di Raffaele Bonanni decide scientemente di affrontare non proferendo nemmeno una volta la parola «Cgil» dal palco del XVI congresso al Centro congressi dell’Eur a Roma.
Una prova che passa a stento – a giudicare dai tiepidi applausi strappati – dedicando buona parte del suo intervento al “ricordo” «del sindacato delle responsabilità», delle «tante, tante cose importanti, entusiasmanti fatte insieme, anche sotto gli insulti di altri», dice riferendosi agli accordi separati in Fiat e al nuovo modello contrattuale. E addirittura intestandosi il bonus degli 80 euro di Renzi: «Gli 80 euro, comunemente definiti del governo Renzi, in realtà sono gli 80 euro della mobilitazione, della lotta e della determinazione della Cisl e della Uil che in splendida solitudine hanno saputo parlare a tutti convincendoli della giustezza delle proprie battaglie».

Ma ora la situazione è totalmente ribaltata e ad essere isolata è lei con la Cisl. E allora la strategia usata è quella di cancellare la Cgil e di ergersi ad – improbabile, almeno in questo frangente – paladina dell’unità sindacale. «Voi avete scelto lo sciopero generale insieme ad un’altra organizzazione. Dipende da noi non rompere il filo dell’unità sindacale: sarà una fase unica e breve o la prima di una divisione profonda che credo farà male ai lavoratori?», si chiede senza dare una risposta. L’impegno preso è solenne: «Io mai e poi mai dedicherò un minuto del mio tempo per spaccare il sindacato italiano, ricordando che noi e voi siamo il sindacato delle responsabilità portate avanti con il sacrificio di tanti nostri delegati». Nessuna parola sul merito dello sciopero, dunque. I suoi modi distaccati non scaldano la platea specie nella chiusura – «Auguri ad Angeletti e a Barbagallo» – in cui sceglie i cognomi e non i nomi di vecchio e nuovo segretario generale della Uil.

La seconda giornata di congresso però registra le prese di posizione di chi non è per nulla contento della svolta “barricadera” di Barbagallo. Per primi i metalmeccanici guidati da Rocco Palombella che deve fare i conti con i tanti mal di pancia dei suoi che fino a lunedì in fabbrica spiegavano le buone ragioni del Jobs act di Renzi e la «follia dello sciopero politico» di Maurizio Landini. Pur non arrivando a criticare la scelta della proclamazione dello sciopero, Palombella mette in guardia i cugini rossi: «A Cgil e Fiom dico: da noi non aspettatevi abbracci». E chiede perfino a Renzi – definito poco dopo «abile bottegaio fiorentino» dal segretario dei pubblici Giovanni Torluccio – di «toglierci dall’imbarazzo» di dover scioperare assieme nelle fabbriche. Insomma, la strada per il dialogo – fra Cgil e Uil fra i meccanici è ancora lunga da percorrere. Figuriamoci l’unità.