E ora anche il Vaticano grida allo «scandalo di un funerale». Mentre arrivano le prove di quanto era già possibile immaginare, ossia che le forze dell’ordine e la polizia giudiziaria sapessero perfettamente che il 20 agosto scorso si sarebbero celebrati a Roma le sontuose esequie da “padrino” di Vittorio Casamonica, ma che nulla hanno saputo fare per impedire la manifestazione di potenza del clan.

A confermarlo è stato l’avvocato di famiglia dei Casamonica, Mario Giraldi, e fonti degli stessi carabinieri che affermano di aver «trasmesso alle autorità giudiziarie e agli uffici competenti» il permesso, notificato al figlio di Vittorio, di lasciare i domiciliari per partecipare ai funerali del padre.

Il ministro degli Interni, Angelino Alfano, a cui ieri il prefetto Franco Gabrielli ha consegnato una relazione informativa su quanto avvenuto, chiede al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza convocato per domani, di prendere «tutte le decisioni necessarie per governare al meglio situazioni di questo genere, potenziando la circolarità dei flussi di comunicazione a livello locale, perché quanto avvenuto non accada mai più».

Ma intanto ieri Alessio Viscardi, un giornalista della testata Fanpage.it che stava indagando sull’elipista di Terzigno da dove è partito l’elicottero che ha lanciato i petali di rosa sul corteo funebre, sarebbe stato «minacciato di morte», secondo quanto denunciato dai deputati del M5S della Commissione Antimafia. E proprio in merito al sorvolo di una parte della città, «si stanno valutando – ha assicurato Alfano – gli aspetti legislativi e regolamentari per verificare eventuali interventi e, in quest’ottica, si solleciterà l’Enac perché avvii una valutazione dei requisiti per l’autorizzazione al volo e perché preveda eventualmente una revisione delle licenze già concesse».

Si indaga dunque, eppure tutti sapevano: «Non esiste a Roma qualcuno che non sappia chi siano i Casamonica», sbotta Susi Fantino (Pd), la presidente del VII municipio, sede della parrocchia di Don Bosco dove si sono svolti i funerali. Di loro, aggiunge la mini sindaca, «non abbiamo una conoscenza diretta ma sappiamo che nel nostro municipio sono di casa».

E ci sarebbe perfino un testimone pronto a giurare di aver visto i familiari del defunto intimidire i vigili urbani – «ma che ci fate qua? Qui ci pensiamo noi» – arrivati a districare il traffico bloccato al passaggio delle oltre 250 auto al seguito del carro funebre trainato da sei cavalli (scelto perché era lo stesso usato per i funerali di Totò). «Credo che volessero occupare gli incroci principali procedendo a passo di lumaca per dimostrare che quella fetta della capitale è nelle loro mani – aggiunge l’uomo intervistato dall’Ansa – e di fatto è così. La gente ha paura dei Casamonica. Loro non minacciano apertamente, ma riescono ad intimidire anche con uno sguardo, anzi a volte scandiscono solo il loro cognome, che vale più di qualsiasi arma».

Tutti sapevano. O nessuno. Pure il Copasir si tira fuori: «La questione riguarda l’ordine pubblico non l’intelligence dei servizi», afferma il presidente Giacomo Stucchi (Lega).

E il parroco? Don Manieri ora tace. Ma sull’edizione odierna l’Osservatore Romano pubblica un articolo intitolato «Lo scandalo di un funerale» celebrato con «ostentazione di potere» e «strumentalizzazione chiassosa e volgare di un gesto di elementare pietà umana e cristiana», da «una famiglia, i Casamonica, tristemente famosa, almeno nella capitale d’Italia, per la voracità dei suoi tentacoli nella gestione di affari malavitosi e criminali». L’articolo pubblicato dall’organo della Santa sede si scaglia contro chi avrebbe ipotizzato «l’esistenza, se non di una connivenza, quanto meno di una qualche acquiescenza da parte della comunità cattolica». «Nulla di più lontano dalla realtà», asserisce mons. Marciante, vescovo ausiliare del settore Est, che in un’intervista all’Avvenire assicura di non essere stato avvisato né dal parroco né dalle forze dell’ordine.

«Uno scandalo? – commenta il vice parroco, don Franco – ditelo alla prefettura. Per fermarli avremmo dovuto fare a cazzotti».