È stata, e forse sarà ancora, una resistenza estrema ma priva di speranze. Nelle ultime ore Ignazio Marino ha combattuto quasi solo per fare il maggior danno possibile al suo nemico, Matteo Renzi, ma senza più sognare di farcela. Quella speranza, sino a ieri, portava le fattezze dell’incubo a cinque stelle. Senza quel punto di forza neppure lo scudo di Orfini avrebbe salvato Marino così a lungo. Fosse stato per lui, il premier lo avrebbe messo volentieri alla porta già da mesi. Non lo ha fatto per salvare l’alleanza con il compagno di play station che presiede il partito. Ma non lo ha fatto, soprattutto, perché sapeva perfettamente quanto alto sia il rischio di consegnare Roma all’M5S quando si voterà, in primavera.
A palazzo Chigi nessuno si fa illusioni; per il partito fondato da Grillo conquistare il Campidoglio sarebbe il passaporto per ambire al governo del Paese. L’eventuale primo cittadino a cinque stelle, inoltre, potrebbe disporre di un palcoscenico da leccarsi i baffi: il Giubileo. Per evitare quel rischio, Renzi aveva rinunciato al benservito, ma senza mai crederci troppo e covando un’insofferenza che è trapelata ieri, quando l’assediato ha posto come conduzione per sgombrare senza ulteriori resistenza «un’uscita onorevole». Vagheggiava un attestato di stima, un riconoscimento estremo, qualcosa sul tipo «mancò la fortuna non l’onore».
Da palazzo Chigi neppure è partita una risposta, fosse pure di diniego. La linea del premier si può sintetizzare con un secco: non se ne parla nemmeno. Doveva essere chiaro che il Pd metteva alla porta il sindaco, mentre una dichiarazione come quella invocata dall’ex sindaco avrebbe diffuso una sensazione diametralmente opposta: quella di una decisione imposta non solo a Marino ma anche al Nazareno dalla spinta dell’opinione pubblica.
Del resto, pur se non programmato, l’ultimo atto di Marino non è poi molto distante da come lo aveva immaginato il premier mesi fa.
Renzi aveva sempre escluso quelle elezioni in novembre che sarebbero state inevitabili se avesse mostrato il pollice verso nella primavera scorsa. Neppure è mai stato davvero certo che mantenere in vita un sindaco diventato, poco importa se a torto o a ragione, un simbolo negativo fosse il male minore di fronte al rischio di consegnare Roma a Beppe Grillo. Quando aveva riempito la giunta di assessori a orologeria, pronti a rovesciare il banco nel primo momento utile, immaginava che non ci sarebbe stato troppo da aspettare.
Ma se l’addio di Ignazio è accolto dal gran capo con sentimenti contrastanti, tra i quali prevale però il sollievo, quanto al futuro regna il buio. Ha circolato e ancora circola l’ipotesi di un commissariamento in extremis, non solo per fare la guardia al barile sino alle prossime elezioni, come d’obbligo, ma con qualche più longevo obiettivo: parare il dissesto economico, oppure evitare che la guida della Capitale cambi proprio a metà Giubileo, come se l’appuntamento non fosse già anche troppo rischioso. Così si eviterebbe, anche in caso di vittoria grillina, di fare dell’anno santo una ribalta per il sindaco pentastellato. L’idea c’è, ma lo stesso Pd ci crede poco: il popolo votante potrebbe prenderla malissimo, forse anche peggio di quanto avrebbe preso la permanenza del sindaco dimissionario.
Ma un candidato da mettere in campo Renzi non ce l’ha. Nel centrosinistra circolano vari nomi, anche se non mancano quelli che riterrebbero opportuno addirittura saltare un giro. Renzi propende invece per un candidato che non provenga dal suo partito e che no sia neppure un politico di professione. Molto meglio un esponente della società civile: uno che se vince ha vinto il Pd e se perde ha perso solo lui. Nonostante tutto il più papabile resta il prefetto Gabrielli: sempre che lo si convinca a rinunciare al sogno, meno rischioso e per il diretto interessato più appetibile, di conquistare il comando della polizia.
Nonostante le tentazioni rinunciatarie di queste ore, si può star certi che Matteo Renzi farà il possibile per mantenere la guida della Capitale. Dovrà vedersela con un’immensa incognita: l’eventualità che Ignazio Marino decida di correre da solo contro il Pd è del tuto realistica. Di certo le sue parole di ieri sera su Facebook non erano quelle di chi intende dare a Renzi partita vinta senza ingaggiare una nuova battaglia.