Mentre il numero dei casi di Ebola sfonda quota 10 mila – 10.541, con ben 4922 decessi certificati, informa l’ultimo bollettino dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) -, è la morte in Mali di una bambina di 2 anni a destare maggiori preoccupazioni in Africa occidentale.

La bimba proveniva dalla Guinea-Conakry, il terzo paese più gravemente colpito dall’epidemia dopo Liberia e Sierra Leone, aveva perso la mamma nelle scorse settimane ed era stata mandata dai parenti a Kayes, nella regione occidentale del Mali. Le attenzioni delle autorità ora si concentrano sul viaggio in autobus intrapreso dalla piccola (circa 1000 km con un cambio nella capitale, Bamako), visto che già presentava i sintomi dell’infezione. Circa 50 persone che potrebbero avere avuto contatti con lei sono già state rintracciate e messe in quarantena.

«Stiamo facendo il possibile per evitare panico e psicosi», ha assicurato il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keita, aggiungendo che finora sono state adottate tutte le misure necessarie per contenere i rischi di contagio ma anche che «è impossibile sigillare ermeticamente un paese». Malgrado tutto resta aperta la frontiera con la Guinea. Viceversa la Mauritania in seguito alla notizia ha chiuso la sua frontiera con il Mali.

Di paura da scongiurare ha parlato anche Barack Obama nel suo discorso del sabato, incentrato proprio su Ebola, o meglio sull’incidenza dell’epidemia negli Stati Uniti. «Dobbiamo essere guidati dalla scienza, dai fatti», ha detto. Washington, secondo il presidente, «deve continuare ad avere un ruolo guida nella risposta globale, perché il modo migliore per fermare la malattia e mantenere gli americani al sicuro è fermarla alla fonte, in Africa Occidentale». Sempre ieri Obama ha ricevuto alla Casa bianca Nina Pham, l’infermiera di Dallas che ha sconfitto il virus, abbracciandola.

Dopo il primo caso di Ebola a New York (Craig Spencer, un medico di Msf rientrato dalla Guinea), negli aeroporti di Newark e Kennedy International le autorità hanno imposto la quarantena di 21 giorni per tutte le persone in arrivo da Liberia, Guinea e Sierra Leone che siano entrate in contatto con ammalati di Ebola. Una misura che va oltre le linee guida federali americane e che secondo il commissario per la salute pubblica di New York, Mary Travis Bassett, potrebbe scoraggiare gli operatori sanitari in procinto di recarsi in Africa per fronteggiare l’emergenza.