La legge di stabilità 2017 non nasce proprio sotto una buona stella. Il governo l’aveva appena consegnata alle agenzie quando la Caritas ha mostrato la fotografia aggiornata e impietosa delle condizioni del paese: i giovani sempre più poveri e, al sud, gli italiani che ormai doppiano i migranti nella platea di quanti si ritrovano a bussare ai Centri di ascolto. Ma non è questo l’unico dato che aiuta a cogliere il senso della manovra finanziaria. Ce n’è un altro diffuso dall’Istat in questi giorni forse ancora più interessante.
L’impianto della finanziaria è ormai chiaro (anche se le coperture restano in gran parte misteriose). Il governo cerca 27 miliardi per darne alle imprese oltre 15 (20 in otto anni).

Siccome la flessibilità in sede europea non vale più di 5 miliardi, per il saldo ricorrerà al solito mix fatto di: tagli alla spesa (3,3 miliardi, anche a danno del Fondo sanitario); pochissimi soldi (meno di 4 miliardi in totale) per i contratti dei pubblici e le pensioni, la scuola e l’università (ovviamente resta il giro di vite sull’Ape agevolato); recupero (in minima misura) dell’evasione fiscale e dei capitali illegalmente esportati (circa 12 miliardi); altri 4 miliardi dovrebbero infine scaturire dall’abolizione di Equitalia. Per il momento non ci sarà l’aumento dell’Iva (altrimenti la sconfitta del Sì al referendum sarebbe assicurata), ma il governo lo ha già messo a bilancio (per oltre 30 miliardi) nel biennio 2018-19.
Non c’è niente di nuovo, come si vede, e anche la giustificazione è la solita: non si poteva fare di più perché mancano le risorse. Il ministro del lavoro l’ha detto testualmente (a proposito dell’Ape, ma la tesi vale per l’intera partita): «Serviva per forza trovare un equilibrio».

Bene. È capitato però che nelle stesse ore in cui il governo rendeva nota la legge di bilancio, l’Istat diffondeva i dati relativi alla (scandalosa) composizione del Pil nel 2014. Da questi (che sono i dati più recenti in materia) risulta che in quell’anno l’economia sommersa valeva circa il 13% del Pil nazionale: 211 miliardi (7,5 in più rispetto al 2011, e il dato è in costante crescita). Di questa enorme quantità di denaro esente da tassazione, 100 miliardi sono venuti dall’evasione fiscale (quindi dieci volte quanto il governo si propone ora di recuperare, salvo al tempo stesso cancellare le sanzioni per chi non ha pagato le tasse o le ha pagate in ritardo); altri 75 dall’impiego di lavoro irregolare (favorito proprio dai voucher cari al ministro Poletti), che in Italia coinvolge oltre tre milioni e mezzo di lavoratori, soprattutto nell’edilizia.
Neanche questa ovviamente è una novità. Un fatto vergognoso sì, ma non inedito. Ad ogni modo, quel che più interessa (e indigna) è che i due insiemi di dati – i conti della finanziaria e quelli del sommerso – siano trattati (anche dalla maggior parte dei media) come se i vasi non comunicassero tra loro e concernessero pianeti diversi. Eppure è sin troppo evidente che la scarsità di risorse disponibili ha molto a che fare con la massa di denaro (circa 90 miliardi) sottratta ogni anno al fisco. Ed è chiaro che in presenza di una massiccia economia sommersa la cronica indigenza della finanza pubblica genera gravi effetti distorsivi, poiché premia l’illegalità e la corruzione mentre induce il governo a varare manovre inique e recessive (salvo straparlare di «crescita») e ad accanirsi su quanti tengono comportamenti virtuosi.

Il saldo complessivo dei dati dice di una perversa redistribuzione del reddito a beneficio di chi commette reati gravi (e il più delle volte dispone già di ingenti ricchezze). Ma, benché chiara ed evidente, la connessione tra l’economia sommersa e lo stato della finanza pubblica è tuttavia tabù. Questo si capisce per i mercati, che godono in presenza di paradisi fiscali; forse per la Ue, che privilegia la redditività dei capitali privati; e anche per la stampa borghese, che non vuole dispiacere a vasti settori della propria clientela. Ma come la mettiamo con un governo che si ostina a definirsi di centrosinistra? E con un partito di maggioranza relativa guidato dal premier, che si protesta di sinistra, salvo convivere senza problemi con crescenti disuguaglianze e con la continua vessazione dei lavoratori dipendenti e dei contribuenti onesti?
Oggi parlare di destra e di sinistra serve solo a farsi dare degli ideologi o degli arcaici, eppure che cosa più dell’equità dovrebbe stare a cuore a una sinistra moderna, moderata, perbene? Chiedere che un governo riduca a dimensioni accettabili il fenomeno dell’evasione fiscale e contributiva non significa evocare campagne rivoluzionarie, ma solo pretendere che lo Stato rispetti condizioni minime di legalità. Questo evidentemente in Italia è impossibile e ci piacerebbe finalmente scoprirne il motivo. Sarebbe davvero meraviglioso che il ministro Padoan spiegasse in particolare perché proprio non gli riesce di far pagare a tutti tasse, imposte e contributi come avviene nei principali paesi della Ue e persino negli Stati uniti. Promettiamo che, se sarà così cortese da risponderci, gli riserveremo ampio spazio in prima pagina.