La Francia la spunta e Pierre Moscovici è nominato agli Affari economici e monetari della nuova Commissione Juncker. E il socialdemocratico olandese, Frans Timmermans, è nominato primo vice-presidente, cioè numero due del nuovo esecutivo europeo. Con Federica Mogherini alla Pesc, sono tre posti di primo piano che vanno ai social-democratici. Ma potrebbe essere solo un effetto ottico: la “svolta” tanto invocata nella politica economica molto probabilmente non avrà luogo. Moscovici, accusato dai tedeschi di essere “molle come un brie francese”, è circondato da falchi: primo tra tutti l’ex primo ministro finlandese, Jyrki Katanien, uno dei sette vice-presidenti, con il compito di coordinatore dei portafogli economici, con diritto di veto, che avrà anche il controllo degli investimenti di 300 miliardi di euro promessi da Juncker nei prossimi tre anni per tentare di stimolare l’economia atona della zona euro.

Nel cluster economico, Moscovici dovrà collaborare con un altro falco, il lettone Vladis Dombrovskis, che avrà la responsabilità dell’euro. E all’Eurogruppo, Angela Merkel ha già imposto lo spagnolo Luis De Guindos, del partito popolare. A completare il cerchio di ferro attorno a Moscovici, ci sono tre donne in posti chiave: la polacca Elzbieta Bienkowska, una “tecnocrate” che faceva parte del governo di Donald Tusk (ora presidente del Consiglio Ue), commissaria al Mercato interno, la svedese Cecilia Malmström al Commercio e la liberale danese Margrethe Vestager alla Concorrenza. Tutte e tre non solo liberiste convinte ma anche provenienti da paesi non euro. Uno sguardo sul portafoglio di Moscovici verrà anche dal tedesco Günther Oettinger, commissario all’economia digitale, una delle priorità della nuova Commissione.

Per il lussemburghese Juncker, che ha fatto più di 50 proposte con varie combinazioni tra nazionalità, posizione geografica, appartenenza politica e di genere per arrivare alla composizione finale della nuova Commissione, si tratta di “una squadra ben organizzata” , di “un’équipe vincente”. Nei fatti, è una Commissione molto più “politica” della precedente, dominata dalla destra, che ha vinto per un soffio le elezioni europee: Juncker, per la prima volta nella storia della Ue, ha ottenuto una certa legittimità con il voto delle europee (ogni gruppo politico, con l’eccezione dell’estrema destra, aveva presentato il proprio candidato alla presidenza). Inoltre, nella Commissione ci sono ex primi ministri ed ex ministri, o commissari uscenti con esperienza, cioè l’esecutivo europeo non è più il cimitero degli elefanti dei trombati delle politiche nazionali.

Juncker innova con la nomina di sette vice-presidenti: Timmermans, il primo tra essi, lo sostituirà in caso di impedimento, mentre ad altri sono stati affidati ruoli di coordinamento e di rappresentanza, come se fossero dei super-commissari anche se non hanno alle spalle delle direzioni generali con funzionari europei su cui appoggiarsi. “I vice-presidenti incaricati di seguire un progetto – ha precisato Juncker – avranno una funzione di filtro tra il commissario e il presidente” e avranno “potere di veto”. In altri termini, Katanien potrà intervenire sulle decisioni di Moscovici se non sarà d’accordo. Una minaccia di un braccio di ferro permanente. Tanto più che Moscovici dovrà esaminare il bilancio della Francia, che ha ottenuto due anni di più per rientrare nei parametri ma non rispetterà neppure la nuova scadenza (il deficit corre sul 4,4% quest’anno): l’ex ministro di Hollande come potrà impedire le sanzioni contro Parigi? Katanien, per di più, viene da uno dei piccoli paesi che protestano contro “la lettura a due velocità dei trattati”: punizioni per i piccoli, manica larga per i grandi (Francia e Italia, seconda e terza economia della zona euro, non rispettano entrambe i parametri e gli impegni presi con Bruxelles).

La figura dei vice-presidenti, essendo una novità, è tutta la costruire. Per questo, i grandi paesi hanno preferito delle cariche “classiche” di commissario: oltre agli Affari economici e monetari per la Francia e l’economia digitale per la Germania, la Gran Bretagna ottiene il posto che voleva per Jonathan Hill ai Servizi finanziari, un euroscettico fiero di esserlo che sarà come un topo nel formaggio per difendere le prerogative della City. David Cameron, malgrado le tensioni con Juncker (che non aveva votato per la presidenza della Commissione), è stato ben trattato, forse anche per dargli una mano nel referendum scozzese del 18 settembre. Il negoziato del Ttip con gli Usa è affidato a Cecilia Malmström: la Commissione vuole che vi entri anche il capitolo “energia”. Oltre alla politica estera – Ucraina e Medioriente – e all’economia, l’immigrazione è una delle politiche dove la nuova Commissione dovrà agire. L’incarico è affidato a un greco di destra, Dimitris Avramopoulos.

Le audizioni dei neo-commissari di fronte al Parlamento europeo avranno luogo tra il 29 settembre e il 3 ottobre. Juncker è riuscito a nominare 9 donne, non è certo la parità (su 28) ma dovrebbe aver evitato una sonora bocciatura da parte dell’europarlamento, poiché non fa peggio del predecessore Barroso sul fronte dell’equilibrio di genere. Alcuni commissari potrebbero venire messi in difficoltà. In particolare, lo spagnolo Miguel Arias Canete, all’Energia e al Cambiamento climatico, è accusato di misoginia (“è complicato avere un dibattito con una donna perché mostrare superiorità intellettuale potrebbe apparire sessista” ha detto di recente). Non entusiasma l’ungherese Tibor Navracsics all’Educazione, un membro di Fidesz, il partito di Victor Orban. All’opposto, alla slovena Alenka Bratusek, che è vice-presidente con l’incarico dell’Energia, viene rimproverato di aver cantato “Viva il comunismo e la libertà”, testimoniato da un video dove altri politici accusano a viso aperto la Ue di essere “una banda di ladri”.