Egitto, Etiopia e Sudan hanno firmato una prima storica dichiarazione di intenti per la soluzione della disputa sulla gestione delle acque del Nilo, dopo l’avvio dei lavori per la costruzione della diga Gibe III, voluta da Addis Abeba. I lavori sono già al 40% e si chiuderanno entro il 2017. Al-Sisi ha mostrato a Khartoum, dove si è svolto il summit, il suo volto più compiaciuto per il raggiungimento dell’accordo.

Il tema della redistribuzione delle percentuali di controllo sulle acque del Nilo era costato caro all’ex presidente Mohamed Morsi. L’islamista non si era mostrato in grado di gestire adeguatamente la crisi anche per l’assenza di controllo sui diplomatici egiziani, vicini all’ex presidente Mubarak, che si rifiutavano di mettere in pratica le sue decisioni in politica estera. Con questo accordo preliminare, di fatto al-Sisi ha accettato la costruzione della diga della Rinascita, assicurando che le tecniche che verranno utilizzate e i serbatoi che saranno creati in Etiopia non danneggeranno nessuno dei tre paesi, bagnati dalle acque del Nilo.

Non solo, il presidente egiziano dovrebbe riconoscere formalmente il diritto etiope ad ottenere una più equa distribuzione delle acque, fin qui per oltre l’80% controllate da Egitto e Sudan. Anche il presidente sudanese Omar al-Bashir ha sottolineato l’importanza storica dell’accordo. Le autorità dei tre paesi si sono accordate anche per la formazione di una commissione per una ricerca, condotta da paesi terzi, sul reale impatto nella distribuzione delle acque in seguito alla costruzione della nuova Diga.

In Etiopia sono diffuse le polemiche sulle nefaste conseguenze che la costruzione della diga sta comportando per le popolazioni che abitano nella Valle dell’Omo, costrette a spostamenti forzosi per realizzare Gibe III, concessa in appalto ai controversi costruttori italiani Salini.