Al-Sisi è furioso: il boomerang delle isole Tanar e Sanafir è tornato indietro con potenza doppia. Manca poco alla manifestazione di domani e un’ondata di arresti ha investito il paese, sintomo della debolezza di un regime disfunzionale. La notte di venerdì è stata la replica delle retate compiute dalla polizia durante la giornata.

E si è conclusa con una scoperta drammatica: Khaled Abdel Rahman, attivista di Alessandria, è stato ritrovato lunga una strada deserta alla periferia del Cairo con il corpo segnato dalle torture. È ancora vivo, riporta la sorella Reem a Middle East Eye, ma è ricoverato in terapia intensiva.

«Il suo corpo è pieno dei segni di pestaggi e torture, elettroshock sui genitali», ha scritto su Facebook aggiungendo che Khaled era stato arrestato il giorno prima dalla polizia durante una perquisizione nella loro abitazione. A trovarlo è stato un passante, un’immagine che ricorda alla perfezione il ritrovamento del cadavere di Giulio Regeni.

Da giovedì a sabato tante province egiziane sono state teatro di perquisizioni e arresti di massa, nei café, nelle case private, in strada. A Giza è stato portato via uno dei leader dei Socialisti Rivoluzionari, Haytham Mohamadeen: ieri la procura ha allungato di 15 giorni la sua detenzione perché «membro di organizzazione illegale», senza specificare però quale. È stato invece rilasciato il fumettista Makhlouf.

A parlare sono i numeri del Ministero degli Interni: in una settimana sono state perquisite 5mila abitazioni solo nel centro del Cairo e esaminati migliaia di computer e telefoni. E gli arrestati, riporta Ahram Online, sono stati almeno cento solo nella sera di giovedì.

Il timore è che si tratti del preludio alla giornata di domani, 25 aprile, visti i precedenti. Il 15 aprile 4mila persone sono scese in piazza per la prima manifestazione anti-governativa dall’elezione a presidente di al-Sisi, estate 2014. Il bilancio finale, secondo l’Association for Freedom of Thought and Expression, è stato di 387 arrestati: 268 sono stati rilasciati, 98 sono a piede libero in attesa del processo e 21 sono ancora in prigione. E ora tra i target torna l’attivista Sanaa Seif (sorella dei più noti Alaa Abdel-Fattah e Mona Seif) che iei è stata convocata dalla procura del Cairo. L’accusa è incitamento alle proteste per aver denunciato l’arresto dell’attivista Yasser al-Qott, anche lui accusato di incitamento.

Scure anche sulla stampa: ieri il Ministero degli Interni ha denunciato il capo dell’ufficio della Reuters al Cairo, Michael Georgy per «pubblicazione di notizie false volte a disturbare la pace e a danneggiare la reputazione dell’Egitto». È questa la sola reazione istituzionale alle rivelazioni pubblicate dall’agenzia internazionale sulle prime ore dell’arresto di Giulio Regeni, eccezion fatta per l’immediata smentita giunta dalla Nsa, i servizi segreti interni accusati dalle fonti di aver detenuto Giulio.

I legami stretti tra i vertici politici e la magistratura sono palesi, rinvigoriti dalle leggi del presidente golpista: normative che vietano le proteste, criminalizzano la società civile, incrementano i poteri di polizia e servizi segreti si concretizzano nelle mani dei tanti giudici che avallano le politiche del governo. A nulla valgono le parole di al-Sisi nella Giornata nazionale della Magistratura: «Mai interferito con il sistema giudiziario», ha detto ieri alla Corte Suprema.

Nelle stesse ore veniva rinviata al 7 maggio la sentenza finale del quarto processo contro Mohamed Morsi, leader dei Fratelli Musulmani e primo presidente democraticamente eletto dal popolo egiziano, deposto dall’ex generale. Quello che è stato definito dal procuratore «il più grande caso di spionaggio e tradimento nella storia della nazione» vede Morsi accusato di aver consegnato al Qatar – tramite i corrispondenti di al-Jazeera – documenti segreti contenenti informazioni sulle forze armate.

L’ennesimo processo dopo i tre già conclusi con tre pene diverse: condanna a morte per la partecipazione ad un’evasione di prigionieri nel 2011; ergastolo per la collaborazione con Hamas, Hezbollah e guardie rivoluzionarie iraniane; e 20 anni per l’uccisione di manifestanti di fronte al palazzo presidenziale nel 2012.