Come ogni giorno dopo un rilascio, nella casa paterna dell’attivista egiziano Alaa Abdel Fattah, nell’antico quartiere Bulaq Abul Ela al Cairo, fervono gli appuntamenti e gli incontri con gente comune e giornalisti. Alaa è di nuovo libero, ha lasciato la prigione lunedì sera.

«Ma questa volta non mi ha accolto lo sguardo di mio padre», sospira il giovane ricordando la recente scomparsa di Ahmed Seif al-Islam, l’avvocato che dirigeva il Centro per la difesa dei diritti umani Hisham Mubarak. Insieme all’attivista socialista, sono stati rilasciati il fotoreporter Mohammed al-Nubi e Wael Metwally. Il giudice ha alla fine dichiarato non valida una prova video, addotta dall’accusa come evidenza inconfutabile della sua partecipazione ad una manifestazione anti-governativa. Il video era stato duramente contestato in aula dal suo avvocato, l’attivista per i diritti dei lavoratori, Khaled Ali.

Alaa, blogger e attivista socialista, era stato condannato a una pena di 15 anni di reclusione e al pagamento di una multa pari a 100 mila ghinee (11 mila euro) per aver partecipato a una manifestazione nel novembre scorso in violazione della legge anti-proteste. In seguito all’annuncio della malattia del padre, Alaa aveva iniziato lo sciopero della fame. L’iniziativa stava ricompattando le frammentate opposizioni laiche in Egitto, nel mirino della repressione dell’esercito dopo il 3 luglio 2013.

Allo sciopero della fame di Alaa si sono aggiunti infatti il fondatore del movimento, messo fuori legge, 6 Aprile, Ahmed Maher, gli attivisti Mohamed Adel e Ahmed Douma. All’iniziativa si sono unite nelle ultime settimane oltre 130 persone, tra cui 15 giornalisti per chiedere la cancellazione della legge che impedisce ogni contestazione. Anche sette partiti politici, tra cui il liberale Dostour, Corrente popolare dell’ex candidato Hamdin Sabbahi, Alleanza popolare socialista, e il movimento 6 aprile hanno aderito alla protesta. Un nuovo movimento «Dank» (in arabo avversità) aveva lanciato nei giorni scorsi una serie di proteste contro la legge che impedisce le contestazioni in tutto il paese. Il governo ha subito accusato il movimento di essere affiliato ai Fratelli musulmani. Proprio nei giorni scorsi, il Qatar aveva espulso sette leader della Fratellanza egiziana, in esilio nel paese, dopo le pressioni esercitate da alcuni governi del Golfo.

Il giovane Alaa appartiene a una famiglia di noti attivisti egiziani di sinistra, inclusa la zia, la scrittrice Ahdaf Soueif, le sorelle Mona e Sanaa, quest’ultima in carcere dallo scorso giugno con le stesse accuse, e la moglie Manal, con la quale Alaa ha animato un blog sin dai primi giorni delle rivolte del 2011, raccontando le proteste dal basso e con gli occhi delle donne. Restano in carcere molti altri attivisti egiziani laici, tra loro, Mahiennur el Masry, impegnata al fianco del movimento operaio e 23 contestatori arrestati la scorsa primavera mentre manifestavano al palazzo presidenziale di Ittihadeya.

Alaa è stato detenuto tre volte dall’inizio delle rivolte nel gennaio 2011 e ha spesso denunciato gravi episodi di tortura in carcere, a cui ha assistito direttamente. L’attivista ha sempre stigmatizzato la politicizzazione del sistema giudiziario egiziano. In un’intervista, rilasciata al manifesto dopo l’arresto nel gennaio 2012, Alaa diceva: «La mia detenzione è parte della strategia repressiva dell’esercito». «Lo scopo dei militari è normalizzare l’uso della violenza, e insieme discreditare gli attivisti. È successo a me, succede a “6 Aprile”, agli attivisti per i diritti umani, ai socialisti, a chiunque appoggi la contestazione», concludeva Alaa.