Sono stati tutti prosciolti: a cominciare dall’ex presidente Hosni Mubarak fino al sanguinario ministro degli Interni Abib el-Adli. La vendetta è compiuta, la restaurazione completata, il Partito nazionale democratico, e con lui lo Stato guidato dal nuovo generale, il successore di Mubarak, Abdel Fattah al-Sisi anche. L’ex raìs egiziano è stato assolto dalle accuse di omicidio di manifestanti durante le rivolte di piazza Tahrir del gennaio 2011 in cui morirono oltre 200 persone tra le mille che furono uccise nei 18 giorni di occupazione della piazza. Il paradosso è che invece Mohammed Morsi, ormai una specie di incidente di percorso più che ex presidente, il primo eletto nella storia egiziana, rischia la pena di morte per spionaggio. Mubarak e i figli Alaa e Gamal sono stati assolti anche dalle accuse di corruzione e di guadagni illeciti mosse contro di loro nell’ambito di un’inchiesta sulla presunta vendita di gas naturale a Israele a prezzi inferiori a quelli di mercato.

«Me l’aspettavo, avevo fiducia in Dio e nella mia innocenza», è stato il commento dell’ottantaseienne in barella. Mubarak è tornato nell’ospedale militare di Maadi, dove risiede dopo la sua scarcerazione del luglio 2013. Il suo sistema, quel nizam che i rivoluzionari volevano scardinare, ha vinto dopo il colpo di stato militare di Sisi. Lo Stato si è vendicato di islamisti e movimenti con leggi repressive e limiti alla libertà di espressione. E nessuno protesterà per questa sentenza. Nonostante gli annunci roboanti di chiusura di piazza Tahrir per il pericolo di manifestazioni, i movimenti islamisti di opposizione hanno scelto la resistenza pacifica e il confronto con il regime a bassa intensità, come dimostra anche la manifestazione di protesta dello scorso venerdì.

Era il 2 giugno 2012, quando Mubarak venne condannato all’ergastolo, con il proscioglimento dei vertici della polizia. Tuttavia, nel gennaio 2013, l’istanza presentata dagli avvocati dell’ex presidente alla Corte di Cassazione ha azzerato il primo processo. Il tentativo di lasciare impuniti gli uomini del vecchio regime nasconde anche lo scontro all’interno della magistratura egiziana. Dal giorno del boicottaggio del referendum costituzionale (dicembre 2012), i magistrati hanno trasformato la rabbia verso gli islamisti in scontro aperto con i sostenitori di Morsi, facendo l’occhiolino al vecchio regime. I giudici hanno rimandato al mittente la riforma proposta dalla Fratellanza che prevedeva la rimozione e il pre-pensionamento di migliaia di toghe. Non solo, appena è stato possibile, hanno appoggiato militari, polizia e liberali favorendo la destituzione di Morsi.

La Corte d’appello del Cairo aveva stabilito nell’aprile 2013 per il raìs egiziano la libertà condizionata, pur non disponendone la scarcerazione. Il tentativo di discolpare Mubarak è partito il giorno seguente alle sue forzate dimissioni. Il 12 febbraio 2011, 24 ore dopo l’annuncio del vice presidente Omar Suleiman che il vecchio leader avrebbe lasciato il Cairo, Mubarak è stato prima trasferito a Sharm el-Sheykh, dove ha vissuto agli arresti domiciliari fino al processo del tre agosto 2011. Nei mesi seguenti, è andato avanti un tentativo costante, perpetrato dai suoi avvocati e dalla televisione di stato, di umanizzare il «diavolo», il principale responsabile di trent’anni di autoritarismo, rappresentandolo come continuamente malato, colpito da attacchi cardiaci o piangente di fronte alle immagini di Muhammar Gheddafi, trucidato in Libia.
Mubarak ha assunto invece un’aura di «intoccabilità»: ormai da anni non appariva in pubblico prima delle proteste del 2011 per il timore di attentati e critiche. E anche in questo Sisi lo segue a ruota, non ha fatto campagna elettorale e non appare mai in pubblico, mentre Morsi aveva aperto il palazzo presidenziale agli ultimi, inclusi i leader delle tribù del Sinai.

E’ curioso poi che si voglia negare la responsabilità della polizia nelle violenze: una delle molle che ha innescato le proteste è l’opposizione alle abitudini umilianti e degradanti dei poliziotti nei quartieri popolari. Da poveri, disoccupati e venditori ambulanti, i poliziotti sono sempre stati diffusamente percepiti come una forza paramilitare che usa torture e violenze. Il 25 gennaio 2011, al Cairo e Alessandria i manifestanti attaccarono prima di tutto un centinaio di stazioni di polizia, nei quartieri popolari di Helwan, Embaba, Bab al Sharya, Boulaq Dakrur e al-Mattarya. Quando la situazione sul campo apparve fuori controllo, la polizia scomparve, l’esercito decise allora di abbandonare Mubarak al suo destino e di non sparare sulla folla. Ora però tutto è cambiato. I poliziotti sono tornati ad essere parte integrante del sistema che ha rovesciato gli islamisti. La furia dello Stato si scatena contro i Fratelli musulmani. E nessuno pagherà per i massacri degli ultimi quattro anni.