A torso nudo, le mani legate, un cappuccio nero calato sulla testa. Sotto il sole rovente di Roma, in piazza del Pantheon, le attiviste e gli attivisti di Amnesty International mettono in scena così la tortura e le sparizioni forzate in Egitto. Un flash mob organizzato ieri mattina per ricordare Giulio Regeni e le altre centinaia di vittime di queste pratiche barbare ma assai comuni del regime «amico» di Al Sisi.

In media «tre-quattro sparizioni al giorno», secondo i dati raccolti dalle organizzazioni non governative locali e riportati in un nuovo drammatico rapporto presentato ieri proprio da Amnesty intitolato «Egitto: “Tu ufficialmente non esisti”. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo». Un documento che, spiega l’associazione promotrice della campagna «Verità per Giulio Regeni», mette in luce «una scia senza precedenti di sparizioni forzate dai primi mesi del 2015».

14est2 regeni 4
Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni conosce bene lo stato di violazione dei diritti umani in Egitto, anche se il governo di cui fa parte è immobilizzato, incapace di dare seguito alle tante promesse di fermezza, sotto scacco dei veti incrociati e degli interessi privati. Perfino su quella piccola decisione di sospendere le prossime forniture dei pezzi di ricambio degli F16 – utilizzati dal regime del Cairo non solo per combattere Daesh ma anche per bombardare i nemici sciiti dello Stato islamico – Gentiloni è dovuto tornare a dare spiegazioni, ieri, durante il Question time alla Camera.

«L’Italia è assolutamente convinta del ruolo chiave dell’Egitto sia per la stabilità della regione sia per il contrasto al terrorismo e non ha mai messo in discussione l’importanza della cooperazione», è la risposta data dal titolare della Farnesina al buon Ignazio La Russa. Tuttavia, la «fermezza» nell’«esigere chiarezza e collaborazione» sul caso Regeni è d’obbligo, ha aggiunto Gentiloni: «Non lo dobbiamo solo alla famiglia, ma è un fatto di dignità nazionale».

D’altronde, come scrive Amnesty nel suo rapporto che include 17 testimonianze dettagliate di alcune delle centinaia di vittime egiziane tra cui ragazzi di 14 anni, «i segni di tortura sul corpo» di Regeni presentano «similitudini» con «quelli sugli egiziani morti in custodia dello Stato. Ciò lascia supporre che la morte del ricercatore friulano sia stata solo la punta dell’iceberg e che possa far parte di una più ampia serie di sparizioni forzate ad opera dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) e di altri servizi d’intelligence in tutto il Paese».

Manifestanti, dissidenti, «chiunque osi prendere la parola è a rischio – spiega Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di AI – Il contrasto al terrorismo è usato come giustificazione per rapire, interrogare e torturare coloro che intendono sfidare le autorità». Luther denuncia anche «la collusione esistente tra le forze di sicurezza e le autorità giudiziarie, il cui ruolo è quello di mentire per coprire l’operato della sicurezza o non indagare sulle denunce di tortura». Alcuni dettagli riportati nel rapporto sono agghiaccianti, chissà se li ha letti l’onorevole La Russa. Come quando si parla di Mazen Mohamed Abdallah, «sottoposto a sparizione forzata nel settembre 2015, quando aveva 14 anni, è stato ripetutamente violentato con un bastone di legno per estorcergli una falsa “confessione”».

O come nel caso di Aser Mohamed, anch’egli 14enne, «vittima di sparizione forzata nel gennaio 2016 per 34 giorni, durante i quali è stato picchiato, colpito con scariche elettriche su tutto il corpo e sospeso per gli arti negli uffici dell’Nsa di Città 6 Ottobre (nella Grande Cairo). Alla fine è stato portato di fronte a un procuratore che lo ha minacciato di ulteriori scariche elettriche quando ha provato a ritrattare la “confessione”».

Spiega Amnesty, che «l’evidente aumento delle sparizioni forzate risale al marzo 2015, ossia alla nomina a ministro dell’Interno di Magdy Abd el-Ghaffar, che in precedenza aveva fatto parte del Servizio per le indagini sulla sicurezza dello stato (Ssi), la famigerata polizia segreta dei tempi di Mubarak, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani: è stata smantellata dopo la rivolta del 2011 ma solo per essere rinominata Nsa».

L’organizzazione chiede perciò a tutti i Paesi Ue e agli Usa di «annullare tutti i trasferimenti di armi e altro materiale usato per compiere gravi violazioni dei diritti umani», perpetrate «col falso pretesto della sicurezza e del contrasto al terrorismo».

Lo stesso pretesto opposto dal rappresentante del parlamento egiziano, Mohamed al Orabi, giunto a Roma lunedì scorso per prendere parte all’assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo (che si conclude oggi). Al Orabi ha fatto le veci del presidente del parlamento Ali Abdel Al che ha rinunciato dopo la decisione del Senato italiano di bloccare i ricambi per i caccia F16. L’Italia ha «costruito la sua posizione su ipotesi sbagliate», ha detto al Orabi ribadendo che l’Egitto ha sempre condiviso tutte le informazioni su Regeni e che continuerà a farlo.

Qualcuno dovrebbe avere il coraggio di dire alle autorità egiziane che per dare giustizia a Giulio Regeni non basta più trovare gli assassini. Bisogna ripristinare il rispetto dei diritti umani.