Il titolo è una provocazione pura: «La casta alternativa». E il contenuto durissimo. L’editoriale di ieri dell’influente quotidiano madrileno El País, il più letto in terra iberica, indica la portata dello scontro politico che si è aperto in Spagna, e mostra nitidamente l’obiettivo dell’establishment: demolire Podemos.

Come? Minandone la credibilità di partito non compromesso con la corruzione dilagante. Nel mirino ora è finito Juan Carlos Monedero, co-fondatore del movimento, professore 50enne di scienze politiche all’Università Complutense della capitale.

L’accusa principale: avere incassato 425 mila euro come consulente dei governi dei Paesi latinoamericani dell’Alba, l’alleanza bolivariana che comprende Venezuela, Cuba e altri stati non allineati agli Usa. Una somma relativa ad attività cominciate nel 2010, e che Monedero ha regolarmente dichiarato al fisco spagnolo a fine 2013, pagando la dovuta quota di imposta. Non come persona fisica, ma come titolare di una società da lui fondata e gestita per sviluppare le numerose attività politico-editoriali che lo vedono coinvolto, a partire dal fortunato programma tv online La tuerka.

Secondo il liberalsocialista El País, Monedero è colpevole di non aver dichiarato questa sua attività alle autorità accademiche della Complutense e di avere incassato il relativo compenso attraverso una società.

E se il dirigente di Podemos afferma che utilizza il denaro «per costruire una società più giusta», per il quotidiano madrileno non c’è dubbio: il numero due di Pablo Iglesias è come il vecchio leader del centrodestra nazionalista catalano Jordi Pujol, eterno presidente del governo regionale di Barcellona (1980-2003), che di fronte a tutte le (fondatissime) accuse di corruzione e clientelismo ha sempre risposto di essere perseguitato in quanto catalano scomodo per il potere centralista di Madrid.

«Avvolgersi in queste nobili bandiere per giustificare imbrogli, corruttele e corruzioni è tipico di gente rancida e arretrata, non di democratici europei del XXI secolo», sentenzia El País. Morale della favola: «Non è facile prevedere un risultato elettorale brillante per chi riproduce alcuni dei tratti più caratteristici di queste minoranze che eludono le norme attraverso qualunque trucco legale».

Fendenti pesanti. E non sono i primi, né saranno gli ultimi. Il primo «scandalo» montato da media di destra e avversari politici – in testa i socialisti del Psoe – fu per la borsa di studio di Íñigo Errejón, il 32enne stratega delle campagne di Podemos, reo di svolgere le sue ricerche lontano dalla sede dell’ateneo che lo finanziava, quello di Malaga. Pratica del tutto abituale, come sa qualunque ricercatore (soprattutto se, come in questo caso, precario) e peraltro regolarmente autorizzata dal docente responsabile. Il «caso» si smontò in fretta, anche per l’indecenza evidente di fare le pulci a chi guadagna 1800 euro lordi al mese.

E tuttavia, tutti conoscono la regola: «calunnia, calunnia, qualcosa resterà». Altro scoop: Monedero (sempre lui!) avrebbe scritto informazioni non veritiere sul curriculum che si può leggere nella sua pagina web di docente.

Ma non si tratta di titoli inventati (à la Oscar Giannino), quanto di imprecisioni e qualche enfatizzazione (essere stato visiting professor alla Humboldt di Berlino invece che semplice conferenziere) magari poco elegante, ma certo non delittuosa. Non così per El País, partito lancia in resta nella battaglia campale per non consegnare la Spagna ai pericolosi amici spagnoli di Alexis Tsipras.