Arrestati, in Salvador, tre dei 16 militari accusati dell’assassinio di 6 sacerdoti e due domestiche, commesso il 16 novembre del 1989 all’Universidad Centroamericana (Uca), nella capitale. Dietro le sbarre sono finiti i sergenti Tomas Zarpate de Castillo e Ramiro Avalos Vargas, il sottotenente José Antonio Ramiro e il colonnello Guillermo Alfredo Benavides, ex direttore della Escuela Militar. Altri 12 militari sono riusciti a fuggire e il presidente Salvador Sanchez Céren, ex guerrigliero del Frente Farabundo Marti, li ha invitati a consegnarsi. Il 17mo ricercato è l’ex ministro della Difesa, il colonnello Inocente Montano, arrestato e processato negli Usa per frode migratoria e in attesa di essere estradato in Spagna dopo il parere favorevole di una corte Usa, emesso il 5 febbraio.

Cinque dei gesuiti massacrati erano spagnoli. Nel 2008, un’associazione per i diritti umani ha sporto denuncia in Spagna nei confronti di 14 militari salvadoregni e di Alfredo Cristiani, allora presidente della Repubblica per il partito della destra Alianza Republicana Nacionalista (Arena). L’anno dopo, la Audiencia Nacional di Spagna ha aperto un procedimento. Nel 2011, il giudice Eloy Velasco dell’Audiencia Nacional di Spagna ha emesso un mandato di cattura da allerta rossa, diffuso dall’Interpol a livello internazionale, e lo ha rinnovato ora. I militari sono stati arrestati un mese dopo il rinnovo dell’ordinanza. Ora, la Spagna potrà nuovamente richiedere l’estradizione e la Corte suprema del Salvador dovrà decidere se accordarla o meno.

Nel 2011, il massimo tribunale aveva ritenuto che l’allerta dell’Interpol costituisse «un meccanismo di ricerca e di localizzazione dei fuggitivi» che non autorizzava la cattura. E, nel 2012, aveva negato l’estradizione in Spagna degli assassini. Nel 1991, il gruppo implicato nella mattanza era già stato processato in Salvador, ma nel ’93 venne salvato dall’amnistia che impedisce di giudicare chi ha commesso crimini di guerra durante il conflitto che, tra il 1980 e il 1992 ha provocato 75.000 morti e 8.000 scomparsi.

Tra gli «8 martiri della Uca», come vengono ricordati da allora, vi fu Ignacio Ellacuria, rettore dell’università e teologo della liberazione, molto vicino – come gli altri trucidati – all’arcivescovo Oscar Romero, ucciso dagli squadroni della morte il 24 marzo del 1980. Il massacro dei religiosi e quello delle due domestiche – Elba Ramos e la figlia sedicenne Celina – fu opera del battaglione dell’esercito Atlacatl, addestrato negli Usa, e fece molto scalpore. Due anni dopo, Cristiani fu obbligato a negoziare con l’Fmln la fine della guerra civile. Da allora, ogni anno i «maritiri della Uca» vengono ricordati e si rinnova la richiesta di giustizia, ma il Salvador è ancora lontano da aver fatto i conti con il suo passato e sono ancora molte le voci che si levano a favore degli assassini.

«Ci interessa soprattutto che la gente conosca la verità», ha detto ai giornalisti il direttore della Pastorale universitaria della Uca, José Maria Tojeira, ricordando altri massacri impuniti come quello di El Mozote, commesso nel 1981. Allora, il battaglione Atlacatl, comandato da Domingo Monterrosa, fece irruzione nel villaggio di El Mozote, torturando e uccidendo uomini, donne e bambini: almeno 1.200 le vittime. Monterrosa lasciò anche un biglietto in cui rivendicava la mattanza: una punizione contro i «figli di puttana» che avevano dato rifugio ai guerriglieri.