Salerno, 14 luglio 2016. Per lei, per Elvira Coda Notari, nostra prima regista donna, tra i fondatori del cinema italiano, autrice montatrice e produttrice di un centinaio di opere, per lei, durante la proiezione di Fantasia ‘e surdato (1927), ultimo lavoro della sua vita, si è aperto improvvisamente il respiro di una brezza potente, a rinfrancare una serata afosa, a rendere più nitida la luna.

Forse perché anche la città dove era nata nel 1875 (e dove una via in un quartiere altro porta il suo nome, senza però dire chi fosse), si è finalmente risvegliata alle magie visionarie della sua opera. Sembra non esista più una cartina topografica che indichi il luogo dove fiorì questa filmmaker totale … mi racconta Licio Esposito, ideatore, con Paola Vacca, del “Progetto Notari”: un documentario in fieri e ora una mostra, fino al 19 luglio, con la proiezione di È piccerella (‘21), e A santa notte (‘22), uniche altre sue opere superstiti, la presentazione de La film di Elvira (allora si diceva così), volume a più voci a cura di Paolo Speranza, nonché le performance ad abitare “la memoria di quest’altra nostra Elvira”, madre nell’editoria l’una (Sellerio), del cinema questa.

Così, con il pathos dell’elettronica di Anacleto Vitolo e della viola di Micaela Coppola (privi o quasi di partitura sonora, questi film sembrano per natura aprirsi a una interlocuzione col presente), si è materializzata il suo film più martoriato – e si vede – dalla censura fascista che si accanì sull’opera indipendente della Dora Film, la casa di produzione che Coda aveva fondato a Napoli col marito Nicola, come lei “pittore” di pellicole. (Il progetto portava il nome di una delle figlie e sullo schermo l’immancabile presenza del figlio Eduardo, in arte Gennariello).

Fantasia ‘e surdato, dunque, come fantasia di guerriera, che Coda proiettava sul volto, così simile al suo, del figlio, “urlatore muto” di quella Napoli che il regime voleva occultare e che invece ribolliva. Lottatrice di Vista con rovine (come nel saggio di Giuliana Bruno), che fendeva il cinema nascente degli uomini, e che da Roma, grazie alla canzone napoletana di Gennariello surdato (straordinaria la commistione tra i repertori della Grande guerra e il suo girato), e con l’eco degli Stati uniti, dove la Dora si era espansa, continuava a sognare i luoghi amati, allora paradiso cinematografico da cui volevano escluderla.

Morì a Cava de’ Tirreni nel ‘46, canuta come la madre di Gennariello nel film e con un cane “bianco & nero” in una delle ultime foto, una vita parallela a Alice Guy, madre del cinema d’oltreoceano, lo sguardo trascolorato di Maria De Medeiros in Registe di Diana Dell’Erba, Elvira che sapeva vedere ciò che potrà essere contemplato un giorno …

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