La vita è sogno dice la piuttosto sorprendente Gisela! di Hans Werner Henze che ha aperto la stagione del Teatro Massimo con la direzione musicale di Constantin Trinks. Un sogno perduto sino a quando la gente non si accorge di aver sognato, avverte subito uno dei protagonisti. E la frequenza con cui si ripresenta la figura del sogno, a rendere ambigua la realtà apparente, non può essere del tutto casuale. È una meraviglia quest’operina poco conosciuta ai più, proprio nel senso del meraviglioso barocco, che infatti pare affacciarsi fra le pieghe di uno «spettacolo di teatro musicale» sospeso fra la fiaba e la costruzione simbolica. O forse è merito della regista Emma Dante averne forzato l’esile contenuto narrativo, le «strane e memorabili vie della felicità» promesse dal sottotitolo, in direzione di una fastosa dimensione onirica che un po’ alla volta prende la forma dell’incubo.

Ecco allora un Pulcinella issato in cima a un montarozzo candido che in realtà è un’enorme gonna, gravida di altre maschere uguali, a introdurre così l’ambientazione partenopea della vicenda. E quando si apre il sipario alle sue spalle, ecco una folla di altri Pulcinella ancora, tutti vestiti di bianco con quella stessa lunga gonna e un cappello puntuto come un becco. Sulla scena disegnata da Carmine Maringola si aprono uno dietro l’altro una serie di sipari creando una fuga prospettica che conduce lo sguardo verso il fondo, dove appaiono il palchetto di un teatrino col fondale dipinto, da cui dilagano randellate e clownerie, o un mobile giardino di rose bianche, mentre luci e costumi possono virare verso un rosso di sangue. E ci saranno anche grandi piatti di portata che volano per la scena in mano a quella marea pulcinellesca, moltiplicando l’immagine cardine di un celebre Arlecchino servitore di due padroni.

Anche la felicità è sogno: non però per la giovane Gisela che l’identifica nel «vero amore», mentre per il fidanzato vulcanologo non è che un processo biochimico, una questione ormonale. Sono sbarcati a Napoli insieme a un gruppo di turisti tedeschi che vorrebbero magari conoscere la cucina locale o la vita notturna della città. E lei, sbracciata e con vertiginose scarpette rosse, è all’istante sedotta dal ragazzo che porta l’emblematico nome di Gennarino Esposito e si presenta sotto le vesti di Pulcinella ma è anche studente di filologia germanica e all’occasione guida turistica. C’è il rischio dell’oleografia, a tenersi troppo stretti al libretto cui ha messo mano lo stesso compositore, ai luoghi comuni (alla lettera) attraversati, dalla processione delle Madonne all’evocazione del popolare teatro San Ferdinando, al bosco di Capodimonte. Ma l’ambientazione di maniera ha poi una sua giustificazione.

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Gisela! è l’ultima opera composta da Henze due anni prima della morte, avvenuta nel 2012 a 86 anni (c’era lui giovane, nascosto sotto il Klaus dell’amatissimo Fratelli d’Italia di Arbasino che si leggeva e rileggeva da ragazzi). E senza voler enfatizzare il fondo biografico che traspare nella seduzione per il sud della protagonista, è chiaro che lì intorno si gira, il ritrovarsi divisi fra la terra d’origine e quella d’adozione e due culture non sempre accordate. Il «passaggio in Italia» di Gisela non è solare come vi si potrebbe aspettare, anche la fuga dal mondo borghese personificato da Hanspeter, il supponente fidanzato tedesco, non è priva di contraddizioni. Abbandonata la compagnia, i due amanti rifugiano nella nordica Oberhausen. Il clima sta per cambiare. Preparate i parapioggia.

Nella seconda parte, ancor più visionaria, lo spettacolo offerto da Emma Dante prende il volo. Il sogno diventa incubo sotto quei cieli che sembrano offrire solo tempesta, e sono veri spruzzi d’acqua quelli che si alzano da un lavatoio sul fondo. Scomparsi i Pulcinella, è ora un’ondeggiante folla di impermeabili scuri quella che si ripara sotto gli ombrelli, mentre in proscenio i due fuggitivi si sono addormentati al riparo dalla pioggia. Sogna Gisela. E i suoi tre sogni successivi ricordano imprevedibilmente la Rosaura del Calderón pasoliniano che attraversava tre diverse ed estreme condizioni sociali prima di risvegliarsi nella propria reale situazione. Nel primo Gisela è una ragazza ricchissima che si trasforma in Biancaneve; nel secondo è la protagonista di una fiaba nera carica di presagi di morte; nel terzo appare come un fiore insidiato da una regina cattiva. Se il libretto accentua l’aspetto horror con teste e mani troncate (la didascalia descrittiva prevale significativamente sul cantato in questa parte) pescando a piene mani nelle favole dei fratelli Grimm, Emma Dante privilegia una dimensione corale che si fa movimento coreografico, mentre la musica assorbe anche suggestioni bachiane. Tanto vale far ritorno al sud e sfidare mano nella mano l’eruzione del Vesuvio, in un finale a sua volta sognante.

Resta da dire dei cantanti, impeccabili, la Gisela di Vanessa Goikoetxea e il Gennarino di Roberto De Biasio, Lucio Gallo è il noioso fidanzato, mentre Emma Dante si appresta a riprendere alla Scala la bellissima Carmen di qualche stagione fa.