Ventimila persone a Gela, e oggi lo stop degli impianti Eni di tutta Italia. Una protesta così forte nel gruppo non ha precedenti negli ultimi anni, e va tenuto conto del fatto che il colosso energetico è il gruppo italiano che fattura di più in assoluto, ha un enorme peso sul piano politico e anche geo-politico, è controllato dal governo. Tutti elementi che rendono questa vertenza particolarmente delicata: i sindacati, la popolazione di Gela, le famiglie guidate dal sindaco del comune siciliano si dicono preoccupate per la possibilità che l’azienda smobiliti il suo petrolchimico, cui è legato il destino di almeno 3 mila famiglie.

Eni ha per ora negato di voler chiudere Gela, ma siccome gli investimenti latitano – non solo in Sicilia, ma la preoccupazione è diffusa in tutta Italia – il sospetto è che per il futuro si punti sempre più sull’estero, dismettendo (almeno in parte) le produzioni italiane. Il problema sta tutto nelle scelte che vorrà fare il management, e che in particolare indicherà il governo: come ha notato la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, infatti l’Eni non è un gruppo in crisi.

«A Gela una soluzione è possibile – ha detto Camusso sfilando con i gelesi – Non siamo di fronte a un’azienda in difficoltà. Per il bene del Paese, può decidere di non distribuire dividendi e di investire invece le risorse guardando in prospettiva. Se si vogliono fare investimenti innovativi, penso al bio-fuel, questi si affiancano, non si sostituiscono alla raffineria».

Lo sciopero di oggi infatti riguarda l’intero gruppo, in tutta Italia: è fissato anche un sit-in davanti alla Camera, alle 15. Il tutto nell’attesa dell’incontro che si svolgerà oggi al ministero dello Sviluppo, proprio per discutere dei futuri piani e investimenti che intende fare Eni.

«L’annuncio shock dell’Eni di mettere in discussione l’intero impianto strategico della chimica e della raffinazione in Italia comporta pesanti ricadute sull’intero sistema industriale e occupazionale nel nostro paese, facendo terra bruciata sull’industria italiana», dicono i leader di Filctem Cgil, Femca Cisl e, Uiltec Uil, Emilio Miceli, Sergio Gigli e Paolo Pirani – Il governo adesso ci deve ascoltare, in primis il presidente del consiglio».

«Colpi di spugna su accordi e investimenti Eni già sottoscritti, come a Marghera e a Gela – proseguono i sindacati – sono inammissibili. Al governo abbiamo chiesto l’immediata convocazione di un tavolo negoziale, che è stata fissata per mercoledì (domani, ndr): se, come sostengono al ministero dello Sviluppo, la politica industriale richiede anche di rivalutare l’intervento pubblico nell’economia, allora l’esecutivo chiarisca se l’Eni risponde solo al mercato e alla Borsa o deve dar conto delle decisioni anche all’azionista di riferimento».

Insomma, i sindacati prendono di petto direttamente il governo: e chiaramente il messaggio non è indirizzato solo alla ministra competente, Federica Guidi, ma arriva dritto dritto a Palazzo Chigi, fino alla scrivania di Matteo Renzi.

«Se è vero che l’Italia ha bisogno degli investimenti e della presenza industriale di Eni, non possiamo assistere inerti al fatto che un grande gruppo rischi di uscire dall’industria – concludono i tre segretari – Ci batteremo con tutte le nostre forze affinché ciò non avvenga».

Susanna Camusso ha chiuso il suo comizio davanti ai gelesi con un duro messaggio indirizzato a Renzi, che riecheggia le critiche mosse qualche giorno fa sulla presunta incapacità del premier ad affrontare la crisi, accusato di affidarsi solo a sortite puramente mediatiche: «Vogliamo sapere se quello che deve fare il presidente del consiglio nei prossimi giorni, come annunciato, è una visita per solidarietà – ha detto la leader della Cgil – o è invece un venire qua esercitando la sua funzione di azionista dell’Eni. Il secondo ruolo è quello che preferiamo. Se ci dirà che ha detto all’Eni che è disposto a rinunciare ai suoi dividendi e di reinvestirli, che il petrolio estratto deve essere raffinato qui, che a fianco della raffineria ci devono essere nuovi investimenti e che l’impegno che il governo prende è quello della garanzia occupazionale per tutti i lavoratori, ci sarà la giusta accoglienza e il plauso di tutti. Ma se viene a dire che il piano delle aziende va bene, come ha dichiarato qualche suo ministro, allora farebbe bene a non presentarsi a Gela».