Abbiamo incontrato Emel Kurma, coordinatrice del think tank Helsinki Citizens’ Assembly e una delle attiviste di Gezi Park per parlare del terrorismo di stato che sta colpendo ormai da mesi i kurdi turchi.

Chi sono i responsabili dei gravissimi attentati di Ankara?

Sono molti gli attori coinvolti. Indirettamente può essere lo Stato islamico, i sospetti vanno tutti verso di loro. Non c’è fiducia nella società e tra cittadini e stato. Nessuno si fida dei giudici. I Servizi segreti sono di sicuro coinvolti. Ci sono molti scenari combinati. Quando il partito di Erdogan è arrivato al potere mettendo al centro le masse si è dimostrato di non essere diverso dai kemalisti ma di avere la stessa mentalità autoritaria. Lo scopo è costruire un imperialismo culturale fondato sulla religione ed imporre una comprensione unilaterale (risveglio islamico, ndr) delle rivolte che hanno attraversato il Medio oriente nel 2011. Se il movimento di Gezi del 2013 ha smascherato la corruzione, la risposta di Akp è stata quella di allearsi con lo stato profondo.

Nel mirino dei terroristi ci sono prima di tutto i kurdi di Hdp, perché?

Quando qualche giorno fa Salahettin Demirtas (leader di Hdp, ndr) ha detto che sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa, ho iniziato a temere davvero per il peggio. Conosco Demirtas da quando era un attivista per i diritti umani, sono consapevole della sua sincerità. L’evoluzione del movimento kurdo turco è molto significativa perché col tempo è diventato sempre meno radicale. Lo stato invece ha risposto alle proposte innovative di Hdp con lo stesso discorso sui kurdi usato nei confronti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk).

Eppure i rapporti non sono stati subito conflittuali tra Hdp e Akp…

Erdogan ha inizialmente pensato di poter far leva sui kurdi. Di poter procedere ad un accordo politico che avrebbe potuto anche permettere di andare al di là dei gruppi socio-economici tradizionalmente vicini ad Akp, sebbene il suo partito sia permeato sul nazionalismo turco. La chiave di svolta è arrivata con l’assedio di Kobane da parte dello Stato islamico lo scorso anno. Il mancato sostegno ai kurdi siriani (Rojava) ha reso chiaro a tutti che mai le due forze politiche avrebbero potuto trovare un accordo. Da quel momento Akp ha espresso una versione islamica del kemalismo, niente di più. Hanno manifestato la loro anima non democratica.

La confederazione dei sindacati progressisti (Disk) è stata tra gli organizzatori della marcia della pace, finita nel sangue. Qual è il suo ruolo in questa fase?

Le mobilitazioni sindacali sono la concreta rappresentazione dell’importanza di quello che è avvenuto a Gezi. Ma dopo il movimento (i sindacati, ndr) si sono dimostrati confusi e incapaci di ulteriore mobilitazione politica. Allo stesso tempo sono la principale eredità del movimento perché coinvolgono classi sociali diverse dalle mobilitazioni tradizionali. Rafforzano un’idea di socialismo turco vicina a quello greco e italiano. Se alle elezioni di giugno, i sindacati si sono dimostrati esitanti e sono arrivati tardi, Hdp ha saputo raccogliere le richieste sociali turche. Il partito di Demirtas non rappresenta solo i kurdi ma l’emancipazione della sinistra turca. E così la reazione dello stato profondo e di Akp è stata determinata soprattutto dal fatto che Hdp è un partito di sinistra, composto di atei e per i diritti civili, ancor prima del fatto che ci siano tanti kurdi.

È tornata a farsi sentire anche la sinistra radicale di Dhkp-c?

Il fronte raccoglie il malcontento dei giovani marginalizzati. Mantiene la sua organizzazione stalinista, infiltrata dai Servizi, e spesso moralista. In alcune aree, sono in competizione con Hdp.

Si va al voto con un livello alto di repressione di media e società civile?

Da una parte, Erdogan persegue le sue alleanze e connessioni con Qatar, Arabia Saudita e Stati uniti. Ha relazioni fortissime con l’Azerbaijan. Akp ha comprato le società proprietarie dei principali media. E ha investito nelle infrastrutture turistiche. Dall’altra, Erdogan ha represso la società civile, come negli anni Novanta. Siamo stati tutti indagati da capo a piedi. La stampa è sempre stata problematica. Ora domina il discorso di Akp. Ma il movimento Gezi ha stabilito il discorso a cui Akp deve rispondere. Eppure ora in Turchia non c’è giustizia.