Suscita interrogativi, e qualche sospetto, la sorprendente inversione di marcia compiuta dalla Turchia in politica estera in queste ultime settimane. Un dietro front che non è ancora terminato. Dopo l’accordo di riconciliazione firmato con Israele e il disgelo con la Russia, il premier Binali Yildirim, braccio esecutivo del leader Erdogan, ha assicurato che Ankara «continuerà a migliorare le relazioni con i vicini. Non ci sono molti motivi per scontrarsi con l’Iraq, la Siria o l’Egitto, mentre ne abbiamo molti per sviluppare la nostra cooperazione. Miglioreremo i nostri rapporti di amicizia con tutti i Paesi che circondano il mar Nero e il Mediterraneo. Manterremo i nostri disaccordi al minimo». Una rivoluzione copernicana rispetto alla politica portata avanti da Erdogan in questi anni in Siria, in Iraq e altri Paesi, dove il leader turco ha svolto un ruolo di primissimo piano, in accordo con il Qatar e più di recente con la ex avversaria Arabia saudita, per «contenere» l’Iran, abbattere il presidente Bashar Assad, favorire l’ascesa dell’islamismo, anche quello più radicale, spegnere le aspirazioni curde e inseguire il sogno di una Turchia protagonista assoluta di questo inizio del terzo millennio in Medio Oriente.

Se Ankara ricucirà i rapporti strappati con tanti vicini non è facile dirlo, tenendo conto degli scontri che ha avuto con Damasco e il Cairo e di ciò che Erdogan ha fatto sul terreno, in particolare in Siria dove ha deliberatamente favorito l’ingresso di migliaia di jihadisti armati pur di far cadere Assad (i turchi sono arrivati al punto da comprare il petrolio siriano venduto dai macellai dell’Isis). Erdogan è stato costretto a compiere l’inversione di marcia di fronte al fallimento totale, devastante per la Turchia, della sua politica estera. «Erdogan anni fa prometteva una politica di ‘zero problemi’ con tutti in Medio Oriente e invece oggi si ritrova con ‘zero amici’» dice al manifesto l’analista del centro “Shabaka” Uraib al Rintawi. «All’interno del quadro creato dalle rivolte arabe – spiega Rintawi – Erdogan ha creduto di trovare l’opportunità per ristabilire una forte influenza turca nella regione, sul modello dello storico ruolo svolto dagli Ottomani per secoli in questa parte del mondo».

Inizialmente il leader turco ha avuto qualche successo grazie, in particolare, all’ascesa dell’alleato movimento dei Fratelli musulmani in diversi Paesi della regione, a cominciare dal più importante degli Stati arabi, l’Egitto. «Ad un certo» continua l’analista «questa politica è entrata in un vicolo cieco ed Erdogan ha visto i suoi disegni trasformarsi in boomerang: in Egitto i militari hanno abbattuto con la forza presidenza e governo dei Fratelli Musulmani; i rapporti con l’Amministrazione Obama sono peggiorati a causa della diversa visione delle priorità in Siria; c’è stato lo scontro violento con Mosca intervenuta a sostegno di Assad culminato nell’abbattimento del caccia russo; è cominciata una crisi con l’Ue sulla questione dei rifugiati siriani che la Turchia ha usato per ricattare l’Europa; l’Isis e gli altri gruppi jihadisti che Erdogan ha aiutato e utilizzato contro Assad si sono rivoltati contro la Turchia. E non può essere dimenticata la questione curda che (il leader turco) sta affrontando con il pugno di ferro in Turchia, in Siria e in Iraq». Se a ciò si aggiungono le conseguenze interne delle scelte in politica estera di Erdogan, a cominciare dal calo del turismo e la fine della forte crescita economica turca, e l’arrivo nel Paese di 2,7 milioni di profughi siriani, il quadro delle ragioni dell’inversione di marcia diventa completo.

Uraib al Rintawi invita a considerare i possibili scenari futuri dei passi fatti nelle ultime settimane dalla leadership turca. «Non mi aspetto che Erdogan vada in luna miele con Bashar Assad o che mantenga rapporti particolarmente cordiali con il presidente egiziano al Sisi – dice l’analista – però una politica più moderata della Turchia, la fine del suo appoggio ai jihadisti, potrebbe aiutare il raggiungimento di una soluzione politica per la crisi siriana e in altri teatri di guerra in Medio Oriente. Probabilmente Erdogan pensa di poter ridare potere e influenza alla Turchia seguendo le strade della diplomazia e rinunciando alle politiche aggressive che ha portato avanti in questi ultimi anni».