Le crisi siriane e libica, l’immigrazione, le incertezze conseguenti all’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati uniti, ma anche i sempre più complicati rapporti tra l’Unione europea e Turchia sono solo alcuni dei temi trattati dalla seconda edizione di Med Dialogues, la conferenza sul Mediterraneo (ma non solo) che si apre oggi a Roma.

Insieme alla Farnesina, il direttorie dell’Ispi Paolo Magri è tra gli organizzatori dell’inziativa che vede la partecipazione di numerosi leader politici di tutto il mondo. «Non ci aspettimo certo la soluzione di problemi che sia la Sponda Nord che la Sponda Sud del Mediterraneo stanno vivendo. Sarebbe assolutamente velleitario», spiega Magri. «L’obiettivo che ci poniamo, anche in questa seconda edizione, è di presentare una efficace, «condivisa» analisi della situazione e abbozzare qualche soluzione altrettanto «condivisa». Condivisa fra paesi, di qui la presenza di rappresentanti di oltre 50 nazioni, ma anche e soprattutto tra diversi attori che hanno al riguardo un ruolo: gli esponenti di governo, delle organizzazioni internazionali, del mondo delle imprese, dei media, della Società Civile.

Se uno pensa al Mediterraneo i primi paesi che vengono in mente sono la Siria e la Libia, due realtà sempre più instabili.
Siria e Libia saranno ovviamente al centro delle attenzioni di Med sia nell’analisi delle prospettive di un nuovo, possibile ordine regionale che nella disamina, il 3 dicembre, di quanto sta avvenendo (o non avvenendo) in questi due paesi grazie agli interventi di Staffan Demistura, Mogherini e del primo ministro libico. Le notizie di queste ore su Aleppo danno a questi interventi un significato particolare.

Il fenomeno delle migrazioni ha precipitato l’Europa in una forte crisi di identità e favorito l’avanzata dei populismi.
Difficilmente possiamo arginare i fenomeni migratori che sono un dato strutturale e non un’emergenza. Possiamo lavorare invece per arginare le conseguenze più serie sulla nostra società e sulla politica europea: pensando, in primis, a interventi di lungo periodo con i paesi di provenienza (tema che affronteremo il secondo giorno) e, soprattutto, ripensando una politica di integrazione che attenui i disagi sia di chi arriva ch e dei nostri cittadini affinché i fenomeni di rigetto vengano contenuti.

L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati uniti è un ulteriore elemento di instabilità?
Lo è nella misura in cui introduce un ulteriore elemento di incertezza in un’area che abbonda già di incertezze. Abbiamo pagato gli “eccessi” degli interventi Usa nel Mediterraneo degli anni passati: non siamo pronti (come Europa, come Italia) a gestire una eventuale fase di “eccesso di disimpegno”, ad esempio in Libia nei delicati mesi che ci attendono.

La “vicinanza” di Trump a Putin come può influire sulla situazione ucraina?
Vedremo nei fatti, e non basandoci solo sugli slogan della campagna elettorale, il reale significato di questa «vicinanza». Ciò che è certo è che Trump pare meno interessato di Obama ad enfatizzare le intromissioni di Putin in un paese che per Mosca è parte integrante della storia e della cultura russa. Una posizione che piace certamente a Putin ma che non apre automaticamente la strada ad una collaborazione diretta Usa-Russia che vedrà coinvolti molti apparati americani e i vertici della Cia e del Pentagono.

La Turchia minaccia in continuazione quell’Europa alla quale dice di voler aderire. Adesso mette in discussione anche i confini delineati con il trattato di Losanna. Si ha l’impressione di assistere a una disgregazione, anche abbastanza veloce, del Vecchio Continente. L’Europa che conosciamo è forse giunta al capolinea?
La Turchia è consapevole di gestire un asset importante – il flusso dei migranti- sul quale la cancelliera Merkel, leader del paese europeo più importante, si gioca fra qualche mese la sua rielezione. Assisteremo a mesi di provocazioni, di minacce che metteranno a dura prova la tenuta degli accordi siglati e potrebbero sancire definitivamente l’abbandono di un progetto europeo per la Turchia.

In che modo il rivolgersi – eventualmente – alla Russia da parte della Turchia può mutare gli assetti, anche militari, attuali?
Il nuovo dialogo fra Putin e Erdogan va letto in chiave strumentale e negoziale verso l’Europa da parte di entrambi. E’ una versione riveduta e corretta dell’avvicinamento russo alla Cina dopo l’introduzione delle sanzioni. La posizione economica di Russia e Turchia è però principalmente orientata verso l’Europa e questo non può non influenzare, al di là dei tatticismi, le direzioni di lungo periodo delle alleanze.