Abbiamo incontrato ieri al sit-in alle porte dell’ambasciata egiziana a Roma lo scrittore Erri De Luca che ha aderito all’iniziativa di Antigone e Amnesty International per chiedere giustizia sul caso Giulio Regeni. L’autore di «Solo andata» e di tante iniziative che coinvolgono i migranti si è fermato tra gli striscioni che chiedevano «Verità per Giulio» mentre alcuni giovani hanno continuato a colorare un panno bianco intorno a cui si sono raccolte centinaia di persone.

Crede che il governo italiano stia facendo abbastanza perché le autorità egiziane si impegnino a fare luce sui veri responsabili della morte di Giulio Regeni?
Giulio Regeni è un cittadino europeo: è stato ucciso dalla polizia in Egitto. Le pressioni del governo italiano sulle autorità egiziane sono state fin qui insufficienti per ottenere la verità sulla sua scomparsa e tortura. È necessario a questo punto che l’Italia chiami l’Unione europea perché eserciti tutte le pressioni possibili sul Cairo affinché si arrivi alla verità.

Perché fino a questo momento la voce italiana è sembrata così flebile nel chiedere la verità per Giulio, solo ieri il ministro Gentiloni ha risposto all’ennesimo depistaggio degli inquirenti cairoti?
Il principio è un altro: prima viene la dignità politica e poi vengono gli affari. Il governo invece è del tutto reticente. Questo caso disturba il business italiano in Egitto. In particolare siamo in subordine alle autorità egiziane per i contratti in materia di gas. Non è un caso che sia stato appena firmato un contratto da Eni con il Cairo. Per questo il governo italiano colpevolmente non chiede un intervento più incisivo all’Europa.

Pensa che fin qui i mezzi di comunicazione non abbiano raccontato abbastanza e in maniera esauriente il caso Regeni o abbiano contribuito addirittura ad accreditare i depistaggi egiziani?
È un mese che chiediamo di essere ascoltati e non è accaduto nulla. Siamo qui per questo: per attirare l’attenzione dei media su un caso che potrebbe essere silenziato del tutto. La stampa deve fare pressioni perché venga dato il giusto valore alle attività che Giulio svolgeva al Cairo e che il suo ricordo resti un esempio per tutti. Battiamo i piedi per terra, dobbiamo essere presenti giorno per giorno affinché si arrivi alla verità. È necessario che le nostre richieste vengano fatte valere e che l’ambasciatore ascolti le domande della famiglia del giovane.

Chi ha ucciso Giulio Regeni: è chiara secondo lei la responsabilità della polizia egiziana?
Ci troviamo di fronte ad un delitto di Stato. Giulio è stato prelevato con la forza. Tutto fa pensare che le responsabilità siano di un corpo professionale e organizzato. Giulio è stato torturato a morte in maniera scientifica. Il suo corpo è stato martorizzato. Il cadavere di Giulio Regeni è stato scartato via come un rifiuto. Come se non bastasse, i responsabili di questo crimine in Egitto hanno la garanzia dell’impunità. Siamo certi che non si sia trattato di un atto di piccola criminalità, altrimenti i responsabili sarebbero stati subito arrestati. Dobbiamo batterci perché non prevalga il silenzio e si arrivi alla verità.

Perché hanno voluto attaccare proprio Giulio Regeni che svolgeva la sua attività di ricerca e nulla di più?
Giulio era un’avanguardia, era uno di noi. Giulio svolgeva con competenza e conoscenza, anche grazie alla sua capacità di parlare bene la lingua araba, un lavoro importantissimo, sul campo, che ormai non fanno più tanti giornalisti e ricercatori. Era impegnato in una ricerca meticolosa e attenta. È possibile che colpendolo abbiano sbagliato persona o che fossero male informati. Giulio era un grande cittadino europeo e noi dobbiamo difenderne la memoria che non deve essere mai infangata né i suoi titoli devono essere negati.

I «realisti» tendono a fare pressioni perché il caso Regeni venga insabbiato in nome della «lotta al terrorismo» di al-Sisi?
L’Egitto è un paese che sta attraversando una profonda crisi e una fase molto delicata. Il governo dei militari si è sovrapposto al precedente e questo ha implicato una repressione che colpisce direttamente il rispetto dei diritti umani di quel popolo.