Abed al Fattah al Sharif è a terra ferito, immobile, non costituisce alcun pericolo per i soldati israeliani che poco prima gli hanno sparato in risposta alla pugnalata che lui, o forse l’altro palestinese abbattuto dalle raffiche, Ramzi al Qasrawi, hanno dato a un militare di pattuglia a Tel Rumedia, nella zona H2 di Hebron. Il soldato ferito non è in condizioni gravi, è cosciente mentre i paramedici lo portano sull’ambulanza. Il palestinese è sempre a terra, nessuno si occupa di lui. I soldati presenti che gli passano accanto sono indifferenti verso quel corpo disteso sull’asfalto. Poi, all’improvviso uno di loro carica l’arma, mira e da una distanza, forse di due-tre metri, spara alla testa del palestinese uccidendolo. Una scena che era stata raccontata da un testimone, prima della diffusione del video, all’agenzia di stampa Maan. «Ho sentito degli spari, sono uscito di casa per controllare cosa fosse accaduto e ho visto diversi soldati israeliani e due giovani (palestinesi) sul terreno. Un soldato si è avvicinato a uno dei giovani che si muoveva appena e ha aperto il fuoco… più tardi i militari hanno coperto i due uccisi con dei teli neri e li hanno portati verso una destinazione sconosciuta», ha riferito il testimone di cui non è nota l’identità.

Le immagini, riprese da un collaboratore del centro israeliano per i diritti umani B’Tselem, mostrano una esecuzione sommaria a tutti gli effetti. Ieri hanno fatto il giro della rete tanto da spingere la procura militare israeliana ad aprire un’inchiesta e a “sospendere” il soldato-killer. Il portavoce dell’esercito ha spiegato che «una indagine iniziale mostra la gravità del fatto che contraddice il codice etico dell’esercito e ciò che ci aspetta dai soldati e dai comandanti dell’esercito stesso». I palestinesi hanno un giudizio ben diverso. Non si tratta di un caso isolato, dicono, piuttosto è la regola che dallo scorso ottobre, da quando è cominciata l’Intifada di Gerusalemme (che poi ha spostato il suo epicentro a Hebron), verrebbe seguita da soldati (e coloni) israeliani, ossia quella di non fare prigionieri, di non arrestare i responsabili di attacchi. Gran parte dei 203 palestinesi morti negli ultimi sei mesi di Intifada sono stati uccisi sul posto dopo aver colpito o tentato di colpire militari o civili (sono almeno trenta gli israeliani uccisi nello stesso periodo da attacchi palestinesi con coltelli e armi da fuoco).

Pochi attentatori palestinesi, veri e presunti, sono sopravvissuti alle loro azioni. Il governo israeliano ha difeso in più occasioni l’operato delle sue forze militari e di polizia, spiegando che soldati e agenti sparano soltanto per legittima difesa e in reazione ad attacchi che subiscono. Tuttavia non solo i palestinesi ma anche esponenti di governi stranieri, di istituzioni internazionali e dei centri per i diritti umani in questi mesi hanno lanciato a Israele l’accusa di mettere in atto una politica non dichiarata di “esecuzioni extragiudiziali”. Il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon qualche settimana fa ha chiesto che Israele tenga presente la frustrazione e la disperazione dei palestinesi sotto occupazione da decenni e senza prospettive concrete di raggiungere libertà e autodeterminazione. Parole contestate duramente dal premier israeliano Netanyahu che anche due giorni fa, commentando gli attentati compiuti da militanti dell’Isis all’aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles, ha detto che «Il terrorismo non dipende dall’ingiustizia sociale, dalla frustrazione o dall’occupazione, ma dalla speranza. Quella dell’Isis di stabilire un Califfato in Europa. Dobbiamo impedire questa speranza».

Netanyahu, che ha di nuovo messo sullo stesso piano le bombe jihadiste e gli attacchi all’arma bianca dei palestinesi nei Territori occupati, ha sottolineato che sono «molti i Paesi del mondo che vengono in Israele per imparare» come combattere il terrorismo e ha chiesto una maggiore unità tra Europa e lo Stato ebraico nella lotta all’estremismo islamico. Gli israeliani deridono le misure di sicurezza adottate sino ad oggi da Bruxelles. «Se i Belgi continuano a mangiare cioccolata e a godersi la vita e ad apparire come grandi democratici e liberali senza decidere che alcuni musulmani nella loro nazione stanno organizzando il terrore, allora non saranno in grado di combatterlo», ha commentato con sarcasmo il ministro dei trasporti Israel Katz criticando il comportamento avuto dall’intelligence belga.

IL VIDEO MESSO IN RETE DA B’TSELEM (WARNING GRAPHIC VIDEO)