«Chi vota per il Front National scommette sul successo di questo partito come si fa quando si gioca alle corse o si compra un biglietto della lotteria. Lo fa perché pensa che questo gesto incarni l’unica possibilità, per quanto infima possa essere, che gli rimane per cambiare radicalmente la propria esistenza. Anche se in questo caso c’è la forte probabilità che il risultato sarà peggiore delle attese e che comunque l’esito non migliori le loro vite, sono sempre più numerosi a votare per Marine Le Pen. Al Fn non si avvicinano più soltanto i meno garantiti, ma sempre più spesso anche chi non riesce a vedere un futuro davanti a sé o lo vede bloccato dalle caste, dal “sistema”, dalla politica tradizionale: quelli per cui “l’ascensore sociale” è in panne e non sanno più come farlo ripartire».

Alla vigilia del primo turno delle elezioni regionali che hanno visto la netta affermazione dell’estrema destra, lo storico e demografo Hervé Le Bras aveva già indagato in un libro intitolato Le pari du Fn (la scommessa del Fn) le ragioni di fondo del progressivo radicamento territoriale e del crescente successo del partito di Marine Le Pen, giungendo alla conclusione che si tratta di un fenomeno che per molti versi traduce nelle urne il malessere e lo spaesamento originato dalle trasformazioni subite dalla realtà economica, sociale e urbanistica del paese nell’arco dell’ultimo trentennio. Quello in favore del Front è perciò un voto stratificato, in cui, a partire da un nucleo iniziale, è possibile scorgere nuovi e successivi elementi: il “biglietto della lotteria” politico di milioni di persone che ritengono di non avere altre possibilità.

La strage di Parigi e le misure prese dal governo socialista, che sembrano andare nella stessa direzione repressiva auspicata da tempo dall’estrema destra, hanno favorito il voto di domenica nei confronti del partito di Marine Le Pen?

Hanno svolto innegabilmente un ruolo come ulteriore catalizzatore dei consensi, anche se in realtà non credo che si possa leggere la crescita dei consensi per il Front National soltanto come una sorta di reazione epidermica ai fatti del 13 novembre e a quanto si è prodotto in seguito nel paese. Piuttosto, si deve considerare come ci troviamo da alcuni anni al cospetto di una dinamica di crescita elettorale che appare inarrestabile. In particolare, il salto in avanti più spettacolare si è registrato tra le elezioni presidenziali del 2012 e le successive, vale a dire le europee del 2014, le dipartimentali della scorsa primavera e, ora, le regionali: nello spazio di tre anni, i voti espressi in favore dell’estrema destra sono passati da poco più del 18% a poco meno del 28%, una crescita senza precedenti anche rispetto ai primi exploit del partito negli anni Ottanta e Novanta. Nel voto di domenica si segnala anche un altro elemento di ulteriore preoccupazione, e cioè che il Fn cresce ancor di più laddove era già molto forte, come se capitalizzasse in un certo senso i consensi raccolti in precedenza. Solo per fare un esempio, nella regione della Provence-Alpes-Côte d’Azur, dove era già molto presente, il partito è cresciuto di 6 punti dalle dipartimentali di primavera. Non arriverei a parlare di una «moda Le Pen», ma è certo che in località dove sono già in molti a votare per il Fn, ci si vergogna sempre di meno a farlo: gli elettori frontisti cominciano ad uscire allo scoperto, in molte realtà del paese la stigmatizzazione cede il passo al riconoscimento sociale. Per questa via si allarga anche la tipologia sociale degli elettori frontisti, che lambisce sempre più spesso, dopo aver sottratto in passato il voto operaio alla sinistra, anche il bacino tradizionale del centrodestra presso i ceti medi.

Quali sono le prime conseguenze politiche sul piano nazionale, anche in vista delle presidenziali del 2017 che sembrano essere il vero obiettivo di Marine Le Pen?

Già prima di queste elezioni la situazione era completamente cambiata rispetto al passato: le percentuali raggiunte dall’estrema destra avevano di fatto imposto una modifica radicale alla scena politica che si caratterizza ormai per un tripartitismo del tutto inedito per la Francia. E’ all’interno di questa logica che si deve leggere il dato odierno che conferma come questo partito sia ormai un attore pari, se non superiore agli altri, del quadro politico nazionale: un elemento in più da non sottovalutare in vista delle presidenziali. Se il Fn conquistasse una o più regioni domenica prossima, quell’effetto di volano per la conquista di nuovi elettori, potrebbe avere conseguenze pesantissime.

Se il Front National è nato, come una sorta di federazione dei gruppi dell’estrema destra francese, già nel 1972 sotto l’egida di Jean-Marie Le Pen, l’attuale exploit sembra essere soprattutto dovuto alla nuova immagine impressa al partito da Marine Le Pen che ha rilevato l’impresa di famiglia nel 2011. Cosa è cambiato a partire da quel momento?

Quando Jean-Marie Le Pen arriva al ballottaggio contro Chirac nelle presidenziali nel 2002, raccoglie in prevalenza ancora un voto xenofobo, di segno relativamente liberale e anti-statalista. In seguito, dopo che la figlia ha preso in mano le redini del partito, la xenofobia è stata per molti versi accantonata, e resa meno visibile o meno esplicita, a favore di un discorso più legato alla difesa dello stato sociale contro la pressione dell’ultraliberismo. In breve, Marine Le Pen ha puntato molto se non tutto su un’elettorato orfano della gauche e che si è sentito progressivamente abbandonato nel corso degli ultimi decenni. Inoltre, nell’ultimo periodo ha cercato di appropriarsi di alcuni temi forti della tradizione repubblicana, come la laicità brandita soprattutto nei confronti dei musulmani. L’altro aspetto saliente di questa trasformazione si può cogliere dalla nuova geografia del voto frontista che non ha smesso di spostarsi dal centro delle grandi città, dove si concentrano le famiglie del ceto medio e dove aveva fatto registrare alcune delle sue migliori performance nella prima fase del suo sviluppo già nel corso degli anni Novanta, verso territori sempre più lontani dalle metropoli: aree periferiche, piccoli centri o, ed è il trend più recente, località rurali. Da questo punto di vista, la Francia di oggi è doppiamente divisa nel senso che le regioni che hanno votato di più per il Front National sono anche quelle dove la popolazione se la passa peggio e dove la realtà urbana si contrappone per molti versi a quella delle aree agricole. Come avviene nel Nord-Pas de Calais, epicentro dell’exploit del Fn, dove un abitante su sei vive al di sotto della soglia di povertà. In questo senso si può dire che quello per il partito di Marine Le Pen è diventato anche un voto di classe.

Lei però contesta l’idea che si tratti di un «voto di protesta», perché?

Ma perché la protesta è un sintomo immediato di scontentezza. Trent’anni di «voto di protesta», visto che la crescita elettorale del Fn si sviluppa a partire dagli anni Ottanta? Non regge. Al contrario, vanno analizzati le forze profonde e i motivi di lungo corso che sono all’opera. A mio giudizio si tratta di trasformazioni importanti che hanno cambiato il volto della Francia e che hanno fatto sentire il loro effetto sui comportamenti elettorali. Fin dalla fine degli anni Settanta, la rarefazione delle relazioni sociali di prossimità a causa del cambiamento degli stili di vita, la fine dei vincoli di vicinato, di quartiere, l’emergere dei soli centri commerciali come luogo di incontro, l’espulsione di fette importanti dei ceti popolari, e in seguito anche di alcuni settori del ceto medio, dalle metropoli verso le aree periurbane e soprattutto la mancanza di prospettive hanno costruito una parte dello scenario sociale e territoriale per l’affermazione del Fn. I motivi del voto frontista sono iscritti nella stessa forma che i processi di modernizzazione hanno assunto nel paese, non sono un segnale passeggero bensì una drammatica costante.

Lei invita a superare i luoghi comuni anche nell’approccio al tema dell’immigrazione che, malgrado se sfumato e traslato nella polemica contro l’Islam, resta molto presente nel vocabolario frontista.

Assolutamente. Limitarsi, come fanno spesso i media del mio paese, a stabilire una relazione diretta tra le presenza degli immigrati e il voto per il Fn, oltre che pericoloso è anche sbagliato. Non di rado, infatti, il numero degli strenieri e inversamente proporzionale ai consensi che vanno a Le Pen. Accade così nella vasta area metropolitana di Parigi, dove i quartieri in cui è più forte la proporzione di immigrati sono quelli in cui sono più deboli i consensi per il Fn. O, allo stesso modo, nel Pas de Calais, dove domenica la lista di Le Pen ha superato il 40% dei voti, ma che tra i 95 dipartimenti di cui si compone il paese, è proprio quello che vanta la proporzione più bassa di immigrati. Perciò ritengo che il tema dell’immigrazione incarni agli occhi degli elettori del Front il tentativo di dare un nome ad un malessere molto più profondo. «L’immigrato» va cercato nella mente di chi vota per le Pen piuttosto che nella realtà sociale del paese, un po’ come avvviene in Polonia dove l’antisemitismo resta molto diffuso malgrado la gran parte degli ebrei locali sia stata sterminata durante la guerra.

Come riassumere perciò i motivi e le forme assunte dal progressivo radicamento del Front National nel paese?

Il voto di domenica ci dice che il potenziale elettorale di questo partito si va estendendo sempre più, ma è possibile indicare dei target prioritari nei settori sociali che subiscono o percepiscono una qualche forma di emarginazione, nelle regioni in cui la crisi economica si fa sentire in modo più netto e in quelle realtà territoriali che sono ogni giorno più lontane dai centri propulsori delle grandi metropoli. In questo contesto, il voto per il Front national è spesso frutto di un solo elemento o di una combinazione di più elementi. Socialmente si tratta spesso di famiglie di origine operaia o appartenenti ad un ceto medio sempre più impoverito, talvolta monoparentali, dove è forte il numero di giovani che hanno lasciato la scuola prima di conseguire un diploma e che restano disoccupati per anni, in cui si toccano livelli concreti di povertà ma in cui emerge anche, quando le carriere scolastiche dei figli sono andate a buon fine, la frustrazione per non riuscire a raggiungere livelli di reddito paragonabili a quelli delle famiglie borghesi. Infine, presso coloro che si sono trasferiti in Francia da molti anni, emerge anche una certa ostilità verso l’immigrazione più recente che si pensa possa minacciare lo status acquisito. Se i primi elettori del Fn andavano ricercati tra coloro che subirono gli effetti destabilizzanti delle ristrutturazioni produttive e della prima fase dei processi di globalizzazione, è poi emersa una seconda fascia di consensi, espressa da chi prova un sentimento di esclusione crescente che sia di natura economica o culturale. Penso in particolare agli abitanti delle «periferie interne» del paese, delle campagne, dei piccoli centri e di quei territori sospesi tra città e aree rurali. Persone che sentono di non essere coinvolte nelle scelte che riguardano la Francia come le loro stesse vite quotidiane, si sentono scartati, messi da parte dalle élite del paese.

Gli scaffali di Hervé Le Bras

Direttore di ricerca all’École des hautes études en sciences sociales, Ehess, di Parigi e all’Institut national d’études démographiques, Ined, lo storico e demografo Hervé Le Bras è noto da decenni in Francia come uno dei maggiori studiosi della storia sociale del paese. Nel corso della sua lunga carriera si è occupato a lungo della trasformazioni che hanno caratterizzato la società transalpina, a partire dal mondo del lavoro come dalle famiglie, e del crescente rapporto tra crisi sociale e retoriche dell’identità nazionale, descrivendo quella che ha definito come l’ossessone demografica della destra che giustifica il proprio discorso sul declino del paese a partire da una inesistente invasione da parte dei migranti. Negli ultimi anni ha lavorato con l’antropologo Emmanuel Todd a definire il quadro in cui ha preso corpo la crisi sociale e politica francese da cui sta emergendo il successo dell’estrema destra, pubblicando LInvention de la France (Gallimard, 2012) e Le mystère français (Le Seuil, 2013). Il suo ultimo libro, Le pari du FN (pp. 160, euro 17,50) è uscito recentemente per le Éditions Autrement.