E’ un’Unione europea brava a menar le mani ma decisamente scarsa in solidarietà quella uscita dal vertice dei ministri degli Esteri e della Difesa di ieri a Bruxelles. Riuniti per dare finalmente il via libera al piano che dovrebbe contrastare i trafficanti di uomini e allo stesso tempo cominciare una prima, seppure esigua distribuzione dei profughi (in ballo c’erano appena 20 mila posti), i 28 si sono ritrovati concordi solo per la prima parte, quella militare, ponendo invece resistenza alla possibilità di accogliere sul proprio territorio uomini, donne e bambini che pure fuggono da guerre e persecuzioni.

Intendiamoci: nessuna sorpresa. Nei giorni scorsi già Gran Bretagna, Ungheria e Polonia si erano dette contrarie al principio delle quote obbligatorie, ma la loro si poteva considerare un’opposizione in qualche modo messa nel conto. Domenica invece, a sorpresa un no pesante è arrivato dalla Francia, e la scelta di Parigi ha avuto come primo effetto quello di trascinare con sé anche la Spagna. Il segno di un debacle politica generale, prima di tutto per il governo italiano, che già da giorni cantava vittoria su un risultato evidentemente tutt’altro che scontato. Ma anche dell’Europa che ancora una volta vede prevalere gli egoismi nazionali sugli interessi comuni. Per l’Italia quello francese è un «tradimento» che lascia il segno. «Mi auguro davvero che non ci siano dei passi indietro, sarebbe molto amaro», commentava il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni quando, a consiglio ancora in corso, già si intuivano i primi nuvoloni. Situazione talmente grave che a sera anche il presidente della Repubblica sente l’urgenza di intervenire: «I flussi che partono dalla Libia – avverte Mattarella – configurano un dramma umanitario senza precedenti di cui l’Europa deve farsi carico collettivamente, con senso di responsabilità, spirito di solidarietà e disponibilità all’accoglienza».

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Come era prevedibile, nessun ostacolo è arrivato invece dai 28 alla missione militare, anche se resta ancora l’incognita della risoluzione Onu che dovrebbe consentire interventi anche in acque libiche. Come ha ricordato l’alto rappresentante per la politica etera dell’Ue Federica Mogherini, il via ufficiale all’operazione di contrasto degli scafisti – che si chiamerà EuNavFor Med, Forza navale europea per il Mediterraneo – non si avrà prima del 24 giugno, giorno in cui è fissato il consiglio dei capi di Stato e di governo. E’ stato comunque deciso che sarà l’Italia a guidare la missione sotto il comando dell’ammiraglio Enrico Credendino che avrà il suo quartiere generale al Coi (Comando operativo interforze) di Centocelle. La missione ha un mandato di 12 mesi e per i primi, considerati come una fase di avvio, potrà contare su un budget di 11,82 milioni di euro.

Diverso i discorso sugli obiettivi de dispiegamento di forze che verrà messo in campo. Nel piano messo a punto dalla Mogherini sono previste tre fasi: una prima di controllo in acque internazionali suffragato anche dal lavoro di intelligence. La seconda nella acque libiche a caccia dei barconi utilizzati dagli scafisti con lo scopo di affondarli prima che vengano caricati. E infine la terza, in cui è prevista la possibilità di intervenire direttamente nei porti libici per colpire le imbarcazioni. Questi ultimi due interventi non sono però possibili senza il via libera dell’Onu e soprattutto senza la collaborazione delle autorità libiche.

Quella che si gioca al palazzo di vetro è comunque una partita a sé, e anche questa dagli esiti imprevedibili la bozza di risoluzione circolata finora si basa sull’articolo 7 della Carta delle Nazioni, unite, che permette azioni di forza in casi estremi. E se anche ieri la Mogherini ha ribadito di non vedere grossi problemi, la possibilità di qualche sorpresa è sempre forte. Sia perché la Russia ci tiene a mettere in chiaro che un eventuale intervento sul suolo libico deve essere limitato al contrasto delle organizzazioni criminali, volendo così evitare una ripetizione di quanto accaduto nel 2011. Sia perché ieri l’ambasciatore libico all’Onu, Ibrahim Dabbashi, a mostrato più di un dubbio sul pino messo a punto dall’Ue. «Non è una buona idea», ha detto il diplomatico riferendosi alla possibilità di affondare i barconi direttamente nei porti libici. «Sarà molto difficile distinguere le barche dei pescatori da quelle dei trafficanti. Potrebbe essere un disastro per i pescatori». E non solo per loro, se dall’Onu dovesse arrivare una risoluzione con restrizioni maggiori rispetto a quelle previste.