Nessuno è perfetto. Verità che ben si addice anche a manifestazioni di portata internazionale qual è Expo 2015. Dunque, pensando alla ciclopica macchina organizzativa, si è disposti a perdonare qualche pecca, qualche granello di sabbia nei motori. Eccessivo sarebbe protestare per una toilette fuori uso, una scala mobile che non scorre, per qualche tornello di accesso che non gira, per l’assalto delle zanzare sul far della sera. Pazienza. Ma esiste, dietro l’Expo, un «Nessuno è perfetto» inaccettabile guardando al tema della kermesse, «Nutrire il pianeta, Energia per la vita».

 
Cominciamo da dietro l’Expo, cioè da chi ci ha messo una larga fetta di denaro, gli Official e Main Sponsor in ambito alimentare. Assodato che un artigiano del cibo mai potrebbe, soprattutto di questi tempi, appoggiare denaro sul piatto, è chiaro che i contributi economici sono arrivati dai grandi dell’industria. Se nomi come Illy, Ferrero e Lindt non producono stridore troppo assordante, altri sono in palese contraddizione. Algida,ad esempio, di proprietà della multinazionale anglo – olandese Unilever che vanta tra i suoi marchi Findus, Calvé, Knorr, e spazia tra i detersivi con Cif, Svelto, Lysoform. La contraddizione cresce quando entra in campo lo sponsor di ogni manifestazione, eterna presenza in ogni bar e chiosco del pianeta, la Coca Cola.

 

 

E raggiunge il suo apice con MacDonald, dark lady del panino e della patatina fritta e rifritta, delle puzze feroci che escono dalle sue cucine, del lavoro usurante e sottopagato. Il fatto che McDonald sia il punto ristoro più frequentato dell’Expo, ci porta a parlare di chi propone spuntini, pranzi e cene ai visitatori. Il successo McDonald è dovuto soprattutto ai bassi prezzi. Se, infatti, si dà uno sguardo al menu dei bar, dei self service, delle tavole calde, si leggerà che un primo niente affatto speciale arriva a 12/14 euro, che uno pseudofiletto ne costa 18, e un’insalatona (termine purtroppo mai caduto in disuso) 11.

 

 

Nel caso si decida per un «vero» ristorante, con camerieri e tovaglia, allora il budget lievita più del pane in forno. Né, citando il famoso rapporto qualità/prezzo, le cose migliorano quando si opti per uno dei tanti punti ristoro «ambulanti», spacciati quali discepoli del finger food (leggasi «le posate non sono previste») o del finto buon mangiare all’italiana.

 
Quanto ai padiglioni, anche lì non ce la si cava con poco, fatta eccezione per i Paesi del Medio ed Estremo Oriente, dove il cibo è buono e preparato sul momento, e le postazioni esterne con le specialità nazionali. La fila davanti al padiglione del Belgio per patine fritte e birra non si esaurisce mai.

 
L’esosità dei prezzi torna a proposito dei souvenir. Provare per credere, entrando in Francia. Quel che costa poco, non merita attenzione. E sempre restando in tema: che brutti e che cari i gadget ufficiali Expo. Fuori dal settore alimentare, che comprende Finmeccanica e la Manpower dei contratti di lavoro a tempo più che determinato, citiamo uno sponsor non mangiabile, di cui non si capisce la pertinenza.

 

 

È la Thecnogym, produttrice di attrezzature per pance piatte e muscoli d’acciaio. I suoi palloni, su cui rassodare gli addominali, vengono proposti a sconti speciali. Pance piatte all’Expo ben nutrita, pance gonfie nel Terzo Mondo denutrito. Nessuno è perfetto. Ma c’è un limite a tutto.
ldelsette@yahoo.it

SanaMente va in vacanza. Arrivederci a settembre