Laurent Fabius lascia il governo. Il ministro degli Esteri entra al Consiglio costituzionale, dove sarà nominato presidente. L’uscita di Fabius annuncia un rimpasto importante e imminente nel governo, con l’obiettivo di costituire un gruppo offensivo a 14 mesi dalle presidenziali. Molti nomi circolano per sostituire Fabius al Quai d’Orsay: Ségolène Royal, Elisabeth Guigou, persino l’ex primo ministro Jean-Marc Ayrault, o il giovane sotto-segretario Matthias Fekl. Marisol Touraine, adesso alla Sanità, gioca la sua carta, in nome della parità che si è persa nei ministeri importanti con le dimissioni di Christiane Taubira dalla Giustizia. Martine Aubry ha seccamente smentito di aspirare alla carica. Da sostituire anche Sylvia Pinel, radicale di sinistra, ministra della Casa, che lascia per un incarico regionale.

Ci sono state persino voci su una improbabile sostituzione di Manuel Valls, ma il primo ministro ha salvato l’incarico ieri grazie al voto positivo dell’Assemblea sulla riforma costituzionale, anche se si rivelerà solo una vittoria di Pirro. Il nuovo governo aprirà di nuovo agli ecologisti? Europa Ecologia-I Verdi si sono spaccati, un gruppo è uscito e adesso i transfughi sperano di venire premiati da Hollande con un ministero. Ma sta persino circolando l’ipotesi di un incarico per Emmanuelle Cosse, segretaria attuale di Europa Ecologia, una nomina che sarebbe una bomba per gli écolos, dopo le dimissioni di Cécile Duflot (e di Pascal Canfin) che avevano rifiutato di far parte del governo Valls.

Ma, al di là dei nomi, della parità e del bilancino tra le correnti, stasera in tv (Tf1 e France2) François Hollande dovrà spiegare la direzione politica del governo, al di là del giro di vite sulla sicurezza. La disoccupazione non cala, il mondo del lavoro è in fermento, tra proteste violente di agricoltori, taxisti, autisti Uber. Come ormai da anni, si parla di “società bloccata”, di riforme “impossibili”, in un clima di progressivo slittamento a destra, verso scelte neo-liberiste. A portare avanti questa scelta è in prima linea il ministro dell’Economia, Emmanuel Macron. Ma paradossalmente, in queste ore, è salita la tensione tra Valls e Macron, che ha criticato ad alta voce la riforma della Costituzione e la privazione della nazionalità.

Con il nuovo governo, Hollande prepara la campagna per la rielezione nel 2017. Ma i sondaggi non sono favorevoli: il presidente rischia di non essere al secondo turno, eliminato da Marine Le Pen e dal candidato della destra dei Républicains (chiunque sia, Sarkozy, Fillon o Juppé). E nel Ps e dintorni cresce la domanda di “primarie” a sinistra, contestando la candidatura “naturale” del presidente uscente.

Ieri, Fabius nel suo addio ha voluto segnare il perimetro dell’eredità che lascia al Quai d’Orsay. Il successo, almeno sulla carta, della Cop21, dove a dicembre è stato firmato un accordo multilaterale sulla lotta al riscaldamento climatico (ma la sospensione del programma di Obama sulla riduzione delle emissioni di Co2 delle centrali elettriche da parte della Corte suprema Usa mostra tutta la fragilità dell’accordo). Il “signor No” che ha frenato sull’accordo con l’Iran, ieri ha preso di mira Teheran e Mosca, per il sostegno al regime di Assad. Fabius ha anche criticato gli Usa, accusandoli di “ambiguità”, per l’impegno limitato in Siria. Sull’Europa, Fabius suggerisce al suo successore di impegnarsi con la Germania per “riprendere le redini” e mette in guardia contro il Brexit “progetto a rischio” (anche se nel 2005 aveva sostenuto il “no” al referendum sul Trattato costituzionale).