Tatsuya Mori è un documentarista e scrittore giapponese conosciuto nel suo paese per i contributi come opinionista su giornali e riviste o anche in televisione come commentatore di fatti d’attualità. Nel campo della produzione visiva però le opere per cui è più conosciuto, soprattutto a livello internazionale, sono A e A2, dittico di documentari sulla setta Aum Shinrikyo realizzato fra il 1998 ed il 2001, dopo l’attacco con il gas sarin perpetrato da alcuni adepti del gruppo nella metropolitana di Tokyo nel 1995.

Proprio A2 è rimasto per lungo tempo l’ultimo lungometraggio da lui diretto, nel frattempo Mori si è dedicato appunto alla scrittura e ad altri progetti per la televisione, ma pochi mesi fa il regista è tornato dietro la macchina da presa per un documentario che affronta una storia assai singolare ma sintomatica dell’ossessione per il successo e delle derive identitarie legate alla manipolazione dell’immagine che caratterizzano la contemporaneità.
Per quasi un ventennio Mamoru Samuragochi è stato un musicista e compositore di primo piano nella scena nazionale, interviste, programmi televisivi di approfondimento e quant’altro ne hanno celebrato le qualitá fuori dal comune ed il genio, definito da più parti come una sorta di Beethoven estremo orientale, Samuragochi infatti seppur non udente continuava a sfornare musiche di grande caratura apprezzate ed interpretate in ogni dove. Tutto cambia però improvvisamente nel 2014 quando, in occasione delle olimpiadi invernali di Sochi, i vent’anni di produzioni musicali e genialità si rivelano come un’enorme e ben congegnata sceneggiata. Samuragochi infatti non soltanto non è sordo ma non è in realtà neanche un musicista, a mala pena sa leggere uno spartito, tutto il lavoro di composizione e di creazione delle musiche fatto durante questi vent’anni è stato sempre realizzato da Takashi Niigaki, «ghost writer» che decide di uscire allo scoperto e di dire la verità proprio durante l’evento sportivo del 2014 quando le sue musiche sono usate per il concorso ufficiale di pattinaggio artistico.

Fake, questo il titolo del nuovo lavoro di Mori, è stato realizzato dopo circa un anno e mezzo passato a frequentare e conversare con Samuragochi nella sua abitazione, nel periodo in cui l’uomo era praticamente segregato e cercava di sfuggire all’occhio dei media che ormai lo consideravano un paria. Il documentario esplora le motivazioni e la figura di questo novello ma falso Beethoven senza però cercare una sorta di fattualità giornalistica, o senza cercare lo scandalo a tutti i costi, il ritratto che ne esce è infatti praticamente solo frutto della visione di Mori e del punto di vista del falso musicista, un’esplorazione del suo mondo che getta luci sul perché delle sue scelte.
In questo senso il fake del titolo si riferisce tanto alla figura del genio non udente creata negli ultimi decenni dalla collaborazione fra i due giapponesi, quanto all’inevitabile parzialità e «falsità» di ogni documentario o programma giornalistico televisivo che si venda come «pura verità», prima di denunciare la sceneggiata i media avevano infatti concorso a creare il mito del musicista sordo sbandierandone l’eccezionalità tutta giapponese. Fake quindi non solo da voce all’altra parte dello scandalo, un po’ come già fatto con A e A2, ma anche in modo più indiretto è una riflessione che scandaglia il desiderio di creare ed avere personaggi a tutti i costi, sia il desiderio del singolo che quello del meccanismo mediatico che ne ha assoluto bisogno per sopravvivere, riflessioni oggi più che mai attuali in tutto il globo.

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