«Per difendere il lavoro non si va ai talk show a fare grandi slogan ideologici, si creano fabbriche». Secondo lei Landini, il premier Renzi a chi si riferiva?

Condivido questo rilievo autocritico del premier. Infatti sarebbe ora che smettesse di andare in tv a fare annunci senza contradittorio e che si mettesse a fare politica industriale, ché in Italia manca da 20 anni ed è all’origine dei milioni di licenziamenti e delle migliaia di chiusure di imprese. E dovrebbe anche smettere di attribuirsi il merito di altri: gli investimenti a Melfi Marchionne gli ha fatti prima del Jobs act e dovrebbe riconoscere che l’investimento della Lamborghini Volkswagen a Sant’Agata bolognese è stato possibile per il lavoro di anni delle istituzioni locali, dei sindacati e dei lavoratori. Sarebbe infine utile riflettere sul fatto che Melfi e Sant’Agata sono due modelli molto diversi: soprattutto rispetto alle condizioni dei lavoratori.

Renzi comunque continua ad attaccarvi, spalleggiato da Marchionne, e l’alleanza sociale con Confindustria pare granitica. C’è spazio per aprire almeno una breccia?

Questo modo di fare un po’ elettoralistico è un segno di debolezza, non di forza. Le difficoltà strutturali del nostro paese sono sotto gli occhi di tutti, come conferma anche l’Ocse. L’idea di uscire dalla crisi riducendo i diritti, superando il contratto nazionale e regalando un po’ di soldi alle imprese è una vera e propria illusione. Al paese si stanno raccontando balle che avranno effetti ancora più negativi. C’è invece bisogno di cambiare strada al più presto: investimenti pubblici e privati per rilanciare la crescita e l’occupazione.

In Fca però le cose sembrano andare bene: ieri Marchionne ha annunciato altre mille assunzioni.

Sono assolutamente contento. Del resto le battaglie che abbiamo fatto in questi anni erano perché ci fossero investimenti. Fabbrica Italia ne prometteva 20 miliardi con 1,4 milioni di auto l’anno prodotte. Ora se va bene siamo a 700mila. E a Pomigliano e in altri siti siamo ancora senza modelli. Noi abbiamo criticato gli spostamenti di produzione e di sede fuori dall’Italia e la cancellazione del contratto nazionale: questi elementi rimangono.

A proposito di democrazia, si stanno tenendo le prime elezioni libere in Fca, quelle per gli Rappresentanti per la sicurezza: quale obiettivo si dà la Fiom?

Intanto bisogna dire che la discriminazione contro la Fiom rimane: anche dopo la sentenza della Corte costituzionale i nostri Rsa hanno solo 8 ore di agibilità e siamo ancora agli incontri separati con l’azienda. In più le elezioni degli Rls su un’unica scheda ci saranno in nome di una legge e non per concessione dell’azienda o degli altri sindacati. I primi risultati ci vedono vincitori ma non ci nascondiamo le difficoltà dovute a questi anni in cui non siamo stati in fabbrica. Il nostro obiettivo è che tutti i lavoratori e le lavoratrici vadano a votare entro luglio. Il punto importante è che saranno le prime elezioni libere dopo 5 anni di discriminazioni.

Se arriverà la fusione promessa per Marchionne entro il 2018 il quadro potrebbe cambiare totalmente. Avrete preferenze sul partner?

Questo conferma la necessità di fare una discussione esplicita sulle produzioni, come avviene in tutto il mondo dove le scelte coinvolgono governi, sindacati e lavoratori. Noi non abbiamo preferenze, ma notiamo che le scelte di Marchionne finora hanno prodotto lo spostamento delle sedi del gruppo fuori dall’Italia.

Tornando ai metalmeccanici. A Firenze c’era solo la Fiom ad incontrare Whirlpool in un inedito tavolo separato.

No, non era un tavolo separato. L’azienda ha convocato tutte le organizzazioni e noi siamo andati perché pensiamo che per cambiare il piano dell’azienda ed evitare le chiusure e i licenziamenti serva discutere e trovare soluzioni.

Gli altri sindacati volevano un tavolo ministeriale…

Il tavolo ministeriale non è ancora stato convocato. Noi oggi registriamo aperture importanti sebbene non risolutive. Per questo è necessario continuare la mobilitazione a partire dallo sciopero generale unitario del 12 giugno.

Sul contratto nazionale riuscirete almeno a proporre piattaforme convergenti con Fim e Uilm o si va verso l’ennesimo contratto separato?

Abbiamo appena finito una riunione con Fim e Uilm e un’altra è stata convocata per l’8 giugno. Continuiamo il confronto per arrivare ad una piattaforma unitaria anche se le divisioni degli anni scorsi sono difficili da superare. Noi vogliamo riconquistare il contratto nazionale. Serve però che il tema della democrazia, della validazione dei contratti, abbia la stessa importanza del contenuto della piattaforma.

Podemos, nata dai movimenti per la casa, vince in Spagna. Civati prova subito a sfruttare l’onda e lancia Possibile. La Coalizione sociale non sarà mai un partito ma chi aderisce in molte regioni andrà a votare domenica: il risultato di Pastorino in Liguria sarà un termometro della possibilità di costruire qualcosa di simile anche in Italia?

La coalizione sociale non ha il compito di riorganizzare la sinistra. Ha il compito di riunire il mondo del lavoro ora separato e lacerato. Sono due percorsi molto diversi: è sbagliato metterli in relazione.

La Coalizione sociale però è di sinistra. Almeno su questo ci tranquillizzi. Dialogherà con chi nascerà o si federerà a sinistra, no?

No, è un modo vecchio di ragionare. Costruire steccati non ha senso. Io faccio il mestiere del sindacalista e sono arrivato a proporre la coalizione sociale proprio perché un partito che si dice di sinistra ha cancellato i diritti dei lavoratori come non aveva fatto la destra. Nel 1970 lo Statuto fu votato da Psi e altri partiti che non erano di sinistra perché a quel tempo la tutela dei lavoratori era un obiettivo condiviso di tutta la politica. Ora non lo è più da nessuno. Il nostro obiettivo è di ricostruire quella cultura condivisa. Non solo a sinistra.